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Ricette per Samhain |
Da qualche anno è giunta in Italia la festa di Halloween, molti pensano che sia una festa nuova e puramente commerciale importata dagli Stati Uniti, lo strano carnevale ottobrino che durante la nostra infanzia abbiamo visto festeggiare nei telefilms e films americani. I meglio informati sui fatti sanno che Halloween è quanto rimane dell’antico Capodanno Celtico, Samhain o Samonion. La modernità, lo sguardo attento a ogni fotogramma americano e la nuova religione del consumismo, hanno fatto si che dimenticassimo le nostre tradizioni al punto che imitiamo popoli lontanissimi per sottolineare i momenti di passaggio presenti nel ciclo dell’anno, ma in realtà non abbiamo bisogno di andare lontano, l’Italia vanta tradizioni millenarie legate al culto dei morti, meno pubblicizzate ma più profonde e, soprattutto, capaci di consolidare il nostro legame con la terra che ci ospita.
Un tema molto importante della festa di Samhain è il cibo, il banchetto, simbolo dell’abbondanza, del raccolto ma anche del raccoglimento della comunità. è tradizione in Europa ma anche in tutta Italia, preparare dolci particolari nei giorni a ridosso del 2 novembre, che spesso ricordano nel nome o nella forma questa ricorrenza.
I tipici «pupa ri zuccaro» (i pupi in
zucchero scolpito e colorato) su una
bancarella alla «Fiera dei Morti» a Palermo.
Anticamente si pensava che dalla notte del 31 Ottobre fino al 2 Novembre i confini fra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliasse al punto che i defunti vagavano liberamente per campi e città. I Celti, in particolare pensavano che in quel periodo gli spiriti della natura vagassero sulla Terra, della quale riprendevano possesso fino a Febbraio. Allora per placare gli spiriti e per ringraziarli dell’abbondanza che avevano concesso gli antichi popoli, cominciarono a offrir loro del cibo. L’arrivo del Cristianesimo trasformò il senso di queste offerte, che divennero un atto di gentilezza nei confronti degli estinti più cari perché fossero confortati da cibo e bevande durante il viaggio di ritorno nell’Al-di-là. In ogni caso, in tutte le regioni d’Italia e anche in alcuni paesi d’Europa vi era l’usanza, prima di andare a letto, di lasciare qualcosa per i morti che durante la notte avrebbero visitato la casa.
In Campania e in Lombardia, a Bormio, Vigevano e in Lomellina, si usava lasciare in cucina un secchio o un vaso d’acqua per dissetare i defunti. In Piemonte si aggiungeva un posto a tavola per i morti che sarebbero poi arrivati in visita. In Puglia e in Toscana, si riapparecchiava la tavola appositamente per i defunti mentre in Sardegna, dopo cena, non si sparecchiava per consentire ai defunti di rifocillarsi durante la notte. L’usanza sicuramente più curiosa è quella delle comunità albanesi della Basilicata e della Calabria: si usava andare al cimitero di sera e lì allestire un banchetto sulla tomba dei propri cari e invitare tutti i passanti a prenderne parte.
Ecco a voi una serie di ricette tradizionali dei Morti, provenienti dalle diverse regioni d’Italia e non solo, una serie di piccoli suggerimenti per ritrovare quel senso sacralità del cibo che un tempo rendeva speciali i pasti e aiutava a dare senso a ogni attimo della vita.
I dolci dei morti simboleggiano i doni che i defunti portano dal cielo e contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio: un modo per esorcizzare la paura dell’ignoto e della morte. Infatti, mentre gli adulti lasciano cibo ai morti, così i defunti lasciano dolci e frutta nascosti in casa per i bimbi che vi abitano. In alcuni paesi tale scambio è ritualizzato con una questua simile al "dolcetto-scherzetto" tipico di Halloween, in entrambi i casi, questo scambio di cibo simboleggia l’interdipendenza fra la Terra intesa come entità a se stante, come mistero materno e allo stesso tempo temibile e la comunità degli uomini.
In molti paesi, la questua rituale di Ognissanti aveva un carattere sociale. Si usava mettere agli angoli delle strade una zuppa cucinata con fave e ceci. L’usanza aveva origini pagane, molto antiche, infatti, nell’antichità le fave erano il cibo rituale dedicato ai defunti ed erano servite come piatto principale nei banchetti funebri. I Romani le consideravano sacre ai morti e ritenevano che ne contenessero le anime. Molto probabilmente questa credenza si fondava sui principi della cosiddetta Teoria delle Impronte, secondo la quale, la forma e le caratteristiche fisico botaniche di piante e animali suggerivano anche i loro poteri medici e magici. Così le lunghe radici della pianta di fava, che affondano in profondità nel terreno; il suo lungo stelo cavo, erano segno inequivocabile del ruolo di tramite tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Tuttavia il segno più marcato era dato soprattutto dai suoi fiori bianchi con sfumature violacee i quali presentavano una caratteristica macchia nera, a ricordare la lettera greca theta, lettera iniziale della parola greca thànatos che significa morte. Per questo, si pensava che mangiare le fave nei giorni dedicati ai morti favorisse il contatto con i defunti buoni e proteggesse dagli spiriti malvagi. In seguito con l’avvento del Cristianesimo la tradizione popolare mutò dal mondo Romano quest’uso delle fave, e così nel X secolo le fave divennero cibo di precetto nei monasteri durante le veglie di preghiera per la Commemorazione dei Defunti. In Toscana, in Veneto e in Calabria era tradizione recarsi al cimitero e mangiare fave sulle tombe dei propri cari. In Liguria piatto tipico del 2 novembre era lo "stoccafisso e bacilli", stoccafisso con le fave, mentre nel Veneto erano le "faoline", semplici fave, e in Sicilia le "fave a coniglio", lessate con aglio e origano.
Nel corso dei secoli, causa dei rischi che le fave provocano su chi è affetto da favismo (difetto genetico ereditario che provoca gravi anemie in caso di assunzione di legumi), furono sostituite da dolci a base di mandorle o pinoli a forma e col nome rituale di "fave dei morti" Dolci che ritroviamo tutt’oggi in molte cucine regionali italiane, dalla Lombardia al Lazio all’Emilia Romagna al Veneto, alle Marche, all’Umbria, alla Sardegna, ecco la ricetta marchigiana:
Ingredienti:
gr 400 di mandorle dolci tritate
gr 100 di mandorle amare tritate
gr 500 di zucchero
3 uova
una tazzina da caffè di mistrà
latte
olio
farina
Preparazione:
Sulla tavola impastate la farina con le mandorle, lo zucchero, le uova e il latte in modo da ottenere un amalgama liscio e sodo.
Stendete l’impasto, quindi tagliatelo ricavando una serie di rocchetti da schiacciare con le dita così da formare le fave.
Adagiatele su una teglia da forno oliata e infarinata, e cuocete in forno preriscaldato a 150º.
Servitele fredde.
Come tutti i biscotti secchi, le fave dei morti si mantengono molto a lungo purché conservate in luogo fresco e asciutto.
Questo piatto è tipico della Puglia, solitamente si usa in estate ma può essere usato anche in inverno come piatto unico durante il banchetto di Samhain.
Ingredienti:
500 gr di fave secche;
acqua;
sale q. b.
Preparazione:
Mettete le fave secche a bagno per 2 o 3 ore
Quando saranno ammorbidite, scolatele, sciacquatele e ponetele in una pentola antiaderente, meglio se di terracotta. Coprite completamente d’acqua, salate, chiudete la pentola con un coperchio e cuocete a fuoco lento, fino a che le fave non si saranno completamente sfatte e avranno assorbito tutta l’acqua. Ricordate di non girarle mai durante la cottura.
A questo punto potete frullare le fave per ottenere una purea morbida e liscia. Per aggiungere magia al piatto vi suggerisco di lavorarlo con un mestolo di legno, girando l’impasto in senso orario fino a ottenere la purea e recitando la seguente formula:
«Sia questo cibo nutrimento
Per chi è e per chi fu.
Congiunga al mio cuore agli
Amati estinti, difenda l’anima mia
Dagli spiriti malvagi»
Se volte aggiungere sapore potete aggiungere qualche patata lessa.
Servite il purè caldo accompagnato da verdure di stagione cucinate in modo rustico e tradizionale, ad esempio da noi è usanza accompagnarle con cime di rapa, peperoni verdi fritti, chiamati «cornetti» involtini di melanzane con l’aglio ecc. A novembre, un abbinamento felice possono essere certamente i funghi, i cavol fiori e i broccoli, ma in realtà non esistono limiti alle pietanze da abbinare al purè di fave.
L’altro importante cibo tradizionale presente sulle tavole il Giorno dei Defunti è il grano. In tutte le culture e le religioni, il grano è il simbolo stesso della vita e della fertilità. Ma per raccogliere il chicco di grano bisogna recidere la spiga - ucciderla - e il chicco solo dopo essere morto a sua volta sottoterra rinascerà in una nuova spiga. Il grano dunque viene associato nello stesso tempo anche alla morte e alla resurrezione e diviene il simbolo del continuo e incessante ciclo di morte e rinascita della natura. In una delle tradizioni religiose più antiche, il culto misterico di Eleusi, le celebrazioni in onore di Demetra dea dell’agricoltura e dei raccolti, prevedevano che gli iniziati partecipassero recando fiaccole e spighe di grano, simboli di luce e vita, e che, durante il rituale, la sacerdotessa tagliasse una spiga di grano - la uccidesse - e annunciasse subito dopo la nascita del divino bambino Dioniso. Morte e rinascita, vita che nasce dalla morte. Mangiare il grano nel Giorno dei Morti viene così ad assumere, oltre che valore rituale, valore propiziatorio per garantire continuazione alla vita e prosperità. Nella tradizione culinaria italiana il grano è presente sopratutto nelle regioni meridionali e della Magna Grecia. Cotto e mischiato a vino cotto, chicchi di melograno, cannella, noci e, zucchero faceva (e fa ancora) parte delle celebrazioni rituali in Puglia, dove troviamo il Grano de Morti o anche Colva o Colba, Cicc Cuott (nella zona di Foggia), Da Nord a Sud dello stivale, con poche varianti, come le preparazioni casalinghe, artigianali o di pasticceria, ma quasi ovunque i nomi attribuiti sono similari, tralasciando le varie forme dialettali.
La ricetta qui presenta è Foggiana e viene tramandata da generazione a generazione fin dagli antichi tempi delle celebrazioni Eleusine, durante le quali era offerto a Demetra e sua figlia Kore.
Ingredienti:
gr 500 di grano tenero "bianchetta";
un melograno maturo;
gr 150 di noci sgusciate;
gr 150 di cioccolato fondente;
gr 100 di zucchero; cedro candito;
una bacchetta di cannella;
vincotto (che si ottiene dal mosto bollito.)
Preparazione:
Pulite il grano, mettetelo in una pentola e copritelo completamente d’acqua.
Portate a ebollizione, quindi continuate la cottura per altri 7 minuti, terminati i quali spegnete immediatamente il fuoco, avvolgete la pentola con del giornale e copritela con un panno di lana.
Lasciate freddare il grano.
Quando finalmente il grano è freddo, colate l’acqua e aggiungete i chicchi di melograno, il cioccolato, le noci, la cannella tritata e qualche cucchiaio di zucchero.
Il vincotto deve essere aggiunto al momento di servire perché, altrimenti s’indurirebbe il composto.
I dolci sono probabilmente il cibo rituale più usato in tutte le tradizioni regionali per commemorare il Giorno dei Morti. Ogni regione ha i suoi dolci tipici che, già dal nome, richiamano la celebrazione, anche se le varie tipologie sono tra loro molto simili. Oltre al grano cotto appena ricordato, i dolci più usati sono biscotti di consistenza più o meno dura, in genere a base di mandorle, pinoli, albumi e talvolta cioccolato. In Lombardia si chiamano «ossa da mordere» e in Veneto, Toscana, Sicilia e Abruzzo «ossa di morto». Ecco qui la ricetta tradizionale siciliana.
Ingredienti:
200 gr di nocciole e/o mandorle tritate (potete fare metà e metà, oppure tutte nocciole o tutte mandorle)
200 gr di zucchero
200 gr di farina
1 albume
1/2 cucchiaino di cannella in polvere
4 chiodi di garofano ridotti in polvere
Vino Marsala q.b.
Preparazione:
Versate in una ciotola tutti gli ingredienti in polvere (farina, zucchero, frutta secca tritata e spezie).
Montate a neve ben soda il bianco d’uovo, e unitelo agli ingredienti secchi. Iniziate a impastare il tutto, unendo il Marsala a cucchiate, fino a che il composto diventerà lavorabile.
Stendete la pasta con il matterello fino a raggiungere lo spessore circa 3 o 4 cm. e poi tagliatelo a strisce allungate. Cercate poi di dare la forma di ossa alle strisce arrotondando le estremità.
Deponete le ossa su una piastra ricoperta da carta forno, e cuocetele nel forno a 170 gradi, per circa 25 minuti.
Un altro dolce tipico di questo periodo è il "pane dei morti", che viene preparato in diversi modi nelle nostre regioni: Questa volta, la ricetta presa in considerazione proviene dalla Lombardia, dove sono preparati tanti piccoli pani chiamati mein o pan de mei.
Pan de Mei significa "pane di miglio", ma viene chiamato anche "paniga" (dal sambuco). Esistono molte varianti sul lievito e sulla formulazione della pasta frolla di questo dolce. Questo dolce è diffuso in tutta la Lombardia e prende, nelle varianti locali, varie denominazioni: "sbrisolona" mantovana, "torta di polenta" nel varesotto, "melegòt" cremonese ecc. Il simbolismo di questo dolce è legato agli ingredienti con il quale è preparato, i quali, simbolicamente, sono i più ricchi della Lombardia, per cui simboleggiano il buon augurio di prosperità. Gli antichi riti prevedevano che il dolce venisse preparato la sera di Ognissanti, dunque lasciato come offerta durante la notte e mangiato a colazione nel giorno dei morti.
Ingredienti:
150 gr di farina bianca
200 gr di farina gialla a grana fine
200 gr di farina gialla a grana grossa
100 gr di zucchero
150 gr di burro
15 gr di lievito di birra
tre uova
latte
15 gr di fiori di sambuco
zucchero vanigliato
olio e sale
Preparazione:
Mescolare e setacciare le tre farine, aggiungere i fiori di sambuco, e gli altri ingredienti tranne lo zucchero vanigliato. Unire il lievito sciolto in poco latte tiepido. impastare bene fino ad ottenere una pasta liscia e compatta con la quale fare una palla. Mettere la pasta in una zuppiera coperta da un tovagliolo e lasciare lievitare per un’ora in luogo tiepido.
Fare quindi con la pasta tante pagnottine lievemente schiacciate, di circa dieci centimetri di diametro, e porle sulla placca da forno alla giusta distanza. Cospargere con un poco di zucchero vanigliato e cuocere a forno caldo (190º C) per mezz’ora.
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