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«Quando Tu-chai-pai fece il mondo, la terra era la donna, il cielo era l’uomo. Il cielo venne giù sulla terra.»
Dal «Racconto della Creazione» presso i Diegueño
La Danza del Sole |
La «Danza del Sole» è un antichissimo e celebre rituale praticato da molte delle tribù (ma non tutte) abitanti dell’America del Nord.
Rappresentava di certo l’apice del calendario spirituale di gruppi quali gli Arapaho, Arikara, Assiniboine, Blackfoot, Cheyenne, Crow, Gros Ventre, Hidutsa, Sioux, Cree delle Pianure, Ojibway, Sarasi, Omaha, Ponca, Ute, Shoshone, e la tribù dei Kiowa.
La cerimonia in oggetto è caratterizzata fortemente da atti di auto sacrificio cruenti e impressionanti. Certe immagini se fossero trasmesse in tv sarebbero marchiate ancor oggi con il classico «bollino rosso» o forse (più probabilmente) verrebbero censurate. Naturalmente la «danza del sole» fece inorridire i numerosi missionari cristiani che per primi ebbero occasione d’esserne spettatori.
Per questo motivo il governo canadese dichiarò «illegale» la pratica di tale rito nel 1880, seguito dal governo federale degli Stati Uniti nel 1904.
Gli indiani d’America furono dunque costretti a praticarla nel segreto più assoluto sino al 1928.
Fortunatamente oggi questa cerimonia sacra è di nuovo legale e praticata sia negli Stati Uniti (dalla presidenza di Jimmy Carter) sia in Canada.
Anzi, i nativi ne hanno fatto un formidabile mezzo di riappropriazione della propria cultura e della propria identità.
In effetti, la Natura appare spesso crudele ai nostri occhi occidentalizzati... abbiamo preferito sotterrala, addomesticarla, ammansirla smussandone gli angoli e le asperità.
Levigando il Creato abbiamo reso la realtà che ci circonda «sicura», «ovattata», tuttavia allontanandoci dalla Natura ci siamo anche allontanati da una parte di noi stessi. Probabilmente si tratta di una parte (il così detto «lato oscuro») che censuriamo e combattiamo continuamente e inconsapevolmente.
Forse anche noi, come i nativi americani, abbiamo un forte bisogno di riappropriarci delle nostre origini ancestrali.
Forse analizzare questa cerimonia in tutto e per tutto «sacra» potrà esserci utile in tal senso.
Come si svolgeva la nostra «Danza del Sole»?
Naturalmente il rituale in oggetto poteva presentare delle variazioni da una tribù all’altra; tuttavia possedeva delle caratteristiche comuni come la danza, il canto e i tamburi, il digiuno e in certi casi l’auto mutilazione.
Uno sciamano sovrintendeva l’intera cerimonia fornendo delle istruzioni per la preparazione del luogo laddove doveva svolgersi il rito. Quindi gli uomini più autorevoli della tribù partivano alla ricerca di un albero adatto la cui cima doveva terminare a forma di Y. Quest’albero doveva fungere da palo o «asse» centrale.
Una volta trovato l’albero alcuni guerrieri lo attaccavano simulando un’azione di guerra con frecce e lance. Dopo l’attacco il ceppo veniva tagliato, e si poneva nella Y sommitale un fagotto contenente dei cespugli, della pelle di bisonte e del tabacco.
Si ponevano anche delle larghe fasce di stoffa colorata simboleggianti le direzioni geografiche. Una volta pronto l’albero veniva condotto sul luogo della cerimonia.
Giunto nel sito prescelto veniva sacrificato un bisonte la cui testa e pelle erano legate anch’esse sulla sommità del palo. La testa del bisonte era rivolta verso l’Est geografico, ossia verso il sol levante.
L’albero centrale rappresentava il punto mediano del mondo, l’«axis mundi» come direbbero i latini. Naturalmente quest’asse simboleggiava (e simboleggia) una sorta di collegamento tra la Terra e il Cielo.
Attorno a quest’albero era allestita (dai danzatori e dagli appartenenti al loro Clan) una struttura formata da 28 pilastri minori disposti a cerchio corrispondenti alle 28 costole del bisonte o (se si preferisce) ai 28 giorni che occorrono per un’intera lunazione.
Quest’ultima ipotesi non ci sembra un azzardo eccessivo considerando che in genere presso gli indiani d’America (come anche tutti gli antichi popoli della terra) il Sole, la Luna e le Stelle erano i personaggi fondamentali del loro firmamento religioso.
Alcuni di questi pali perimetrali erano poi legati nella loro porzione più alta al sommo dell’albero centrico.
A quanto pare la Y dell’albero rappresentava il nido di un’Aquila.
I nativi americani avevano scelto l’Aquila come simbolo perché quest’uccello è in grado di volare molto in alto... secondo le credenze degli antichi si tratta del volatile che più degli altri è capace d'avvicinarsi al Sole. Naturalmente è spontaneo associare a tutto ciò l’immagine di Icaro della mitologia greca.
L’Aquila sarà forse il legame (il pontefice) tra la Terra e il Cielo? Tra l’uomo e le vette spirituali?
Il nostro uccello «mercuriale», secondo le credenze dei nativi americani, è il «messaggero» che porta (come la Vergine della tradizione cristiana) le preghiere degli uomini sino a Waka Tanka, il misteriosissimo Grande Spirito.
Riassumendo il richiamo all’Aquila ha lo scopo di facilitare la comunicazione tra uomini e le entità spirituali durante la cerimonia della «Danza del Sole».
Ma non solo. Le piume dell’aquila erano considerate alla stregua di potenti medicine. Lo sciamano toccava l’albero sacro con una piuma del nostro rapace, dopo di che la piuma era applicata sul corpo di un malato, trasferendo così l’energia curativa dell’Albero Solare all’infermo.
Ma torniamo alla cerimonia... a questo punto ogni partecipante si presentava davanti allo sciamano il quale stringeva tra pollice e indice un lembo di pelle del suo petto.
Con un coltello affilato trapassava la pelle da parte a parte e faceva scivolare nel foro praticato un pezzo d’osso o una bacchetta di legno.
Questo «spiedo», che rappresentava i così detti «artigli dell’Aquila», era poi legato per mezzo di una correggia di cuoio all’Albero Sacro.
Secondo le credenze degli indiani d’America dette corregge rappresentano i Raggi di Luce emanati dal Grande Spirito.
Ogni singolo partecipante così allacciato all’«Albero di Luce» doveva poi liberarsi dal suo doloroso legame. Quest’atroce tortura volontaria rappresentava una sorta di «rinascita» in un mondo che va oltre la Natura e la Materia e che non presenta né limiti di sorta, né catene, ossia quei fardelli tipici della corporeità.
A ben vedere sembra che nella Natura tutto sia «Fluire» e «Ritornare». «Fluire» del Grande Spirito nella materia e «ritornare» dello spirito-materia presso l’unità originaria. Detto «ritorno», però, si ha con una Coscienza diversa, rinnovata.
L’Universo che ricade sotto i nostri sensi ci appare dunque come una sorta di «mezzo evolutivo» attraverso il quale il Grande Spirito «progredisce».
Ma forse sarebbe più opportuno parlare di «Rivoluzione dello Spirito» più che di «evoluzione».
E’ possibile che i partecipanti alla «Danza del Sole» ricerchino in questo rito propriamente un trascendimento del corpo materiale attraverso la materia stessa?
Ipotesi suggestiva ma non dimostrata che lasciamo al vaglio degli inquisitori della «Scienza Divina».
Torniamo ai nostri danzatori nel luogo dove li abbiamo lasciati, ossia legati orrendamente all’albero sacro. I ballerini dovevano pertanto liberarsi dalla correggia di cuoio e l’unico modo per farlo era danzare fino alla lacerazione delle loro stesse carni.
Ovviamente il dolore prodotto da questa cerimonia era così intenso che spesso i danzatori entravano in uno stato di «trance» in cui potevano fare dei «Viaggi nei mondi dello Spirito».
Quando i danzatori si erano ormai tutti liberati dai rispettivi legacci, allora la Danza del Sole terminava.
Allora si stendevano i danzatori su dei letti con della salvia. In seguito i partecipanti raccontavano le loro visioni al Grande Sciamano... quest’ultimo ne traeva delle profezie.
Ci ha molto colpito che ogni danzatore doveva «offrire» la sua sofferenza facendo interamente dono di se. Ci chiediamo quale sia il significato recondito di questo dono estremo che ai nostri occhi appare come incomprensibile.
Tuttavia, riflettendo sulla faccenda, ci sovviene che, in effetti, il «mistero del sacrificio» è tipico di molte religioni e culture, non ultima quella «cristica» propria dei colonizzatori che spesso e volentieri furono più propensi a «evangelizzare» e manipolare i popoli conquistati che a comprendere e accettare.
Il Cristo è l’«Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» attraverso il sacrificio di se stesso. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.» (Giovanni 15,13)
In tutta onestà riteniamo che Mistero dell’Auto Sacrificio ruoti come un satellite attorno ad un altro Arcano: quello della «Genesi».
Con «Genesi» qui intendiamo il processo a metà tra il naturale e il sovrannaturale che va dal «Nulla» (il «non essere») alla «Forma» (o «essere»). Questo processo (che è appunto l’atto proprio della creazione) è possibile a Dio ma è interdetto all’uomo.
L’uomo, infatti, non «crea» nel senso proprio del termine ma, partendo da un seme e una matrice idonea, da luogo a una «rigenerazione» cosa ben diversa dalla creazione vera e propria.
Ora, giacché non pare vi sia un fattore che obblighi questo «Nulla» o «Grande Spirito» («Waka Tanka» dei nativi americani) ad acquisire una forma materiale, questa caduta dello Spirito (o discesa) nei meandri oscuri della materia è sempre stata percepita come una sorta di «auto sacrificio».
Probabilmente i ballerini della «Danza del Sole» intendono con il sacrificio di se stessi imitare Colui che per primo si sacrifica nel generare il mondo.
Ma perché questo «imitare»?
Qual è il senso di siffatto «scimmiottare» in modo timido quello che è il sublime Creatore dell’Universo?
Torneremo sull’argomento in un prossimo scritto quando parleremo del ruolo del «Sacro Bisonte» presso gli indiani d’America. A quanto pare gli appartenenti alle tribù che praticavano la cerimonia in oggetto credevano che fosse stato propriamente il bisonte ad aver insegnato al loro popolo il rituale della «Danza del Sole».
Dunque i due articoli con argomenti a prima vista diversi appariranno naturalmente correlati.
La nostra speranza è che occupandoci di aspetti differenti del divenire, di spettacoli e rappresentazioni variegate del sublime «balletto cosmico» ci sia dato un giorno di poter scorgere l’Unico Vero Danzatore del Mondo.
Il Marchese di Carabà
email: m.dicaraba@libero.it
L'industrie et le savoir-faire valent mieux que des biens acquis
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