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«Fanciulla del dolore, o tu che sai
Piacere anco sepolta, e ricoperta
Dal silenzio di trecento anni, bella
Sai tornare alla idea come nel giorno
Che te lo Amor rapiva, o tu delizia
Dei racconti di queste itale care
Fanciulle, che spirar sai dalle stesse
Dipinte tele, onde l’occhio fatato
Dal tuo sguardo, in imago ancor ti cerca
Rediviva per Roma, abbi il mio pianto.
Anfossi, Beatrice Cènci.»
Piacere anco sepolta, e ricoperta
Dal silenzio di trecento anni, bella
Sai tornare alla idea come nel giorno
Che te lo Amor rapiva, o tu delizia
Dei racconti di queste itale care
Fanciulle, che spirar sai dalle stesse
Dipinte tele, onde l’occhio fatato
Dal tuo sguardo, in imago ancor ti cerca
Rediviva per Roma, abbi il mio pianto.
Anfossi, Beatrice Cènci.»
Francesco Domenico Guerrazzi.
Beatrice Cenci |
Beatrice Cenci era una bambina dolce, delicata. Possedeva un fascino diafano, colto, si dice, da Guido Reni. Figlia di Francesco Cenci, visse un’infanzia ben lontana da quella che merita una bambina: il padre usava farle violenze fisiche e sessuali anche dinanzi agli occhi di una madre totalmente inerme e incapace di reagire. Tutti sapevano cosa accadeva a Beatrice e alla madre Lucrezia, ma nonostante gli innumerevoli processi che lo videro imputato anche per sodomia, riuscì sia corrompendo giudici sia con l’aiuto di amicizie influenti, sempre a farla a franca. Beatrice viveva col fratello Giacomo, il padre, la madre e il suo fratellastro Bernardo, figlio di Lucrezia e Francesco. Tutti subivano le angherie dell’uomo ma nessuno poteva reagire in alcun modo.
Beatrice Cenci era una bambina
dolce, delicata. Possedeva un
fascino diafano, colto, si dice, da
Guido Reni in un ritratto
Correva l’anno 1598 e durante un soggiorno di Francesco nella fortezza stessa, due vassalli di nome Marzio Floriani Catalano e Olimpio Calvetti, con l’aiuto di Lucrezia e Beatrice, drogarono Francesco e lo uccisero piantandogli due chiodi in un occhio e nella gola. Per simulare una caduta accidentale gettarono il cadavere nel giardino e, annunciata la morte di Francesco, lo fecero seppellire in tutta fretta sotto il sagrato della chiesa di Petrella: Santa Maria, sperando che nessuno indagasse ma Monsignor Guerra, amico di famiglia, deciso ad indagare e vendicare l’amico tentò di far uccidere Catalano e Calvetti: Catalano si salvò ma, dopo aver confessato sotto torture indicibili, morì dinanzi gli occhi di Beatrice che probabilmente amava. Lucrezia, Beatrice e Bernardo furono arrestati e condotti nelle segrete di Castel Sant’Angelo, dove subirono ogni tipo di torture. solo Beatrice si ostinò al silenzio ma alla fine dovette cedere convinta dal fratello e dalla madre.
Durante il processo, la sua confessione fu completa, minuziosa, toccante:
«... Quando io mi rifiutavo, lui mi riempiva di colpi. Mi diceva che quando un padre conosce... carnalmente la propria figlia, i bambini che nascono sono dei santi, e che tutti i santi più grandi sono nati in questo modo, cioè che il loro nonno è stato il loro padre... A volte mi conduceva nel letto di mia madre, perché lei vedesse alla luce della lampada quello che mi faceva».
Beatrice racconta in sede di processo anche alcuni sogni che faceva
«Sono nuda in una stanza immensa e una bestia respira, respira, non smette di respirare. Mi accorgo che il mio corpo splende. Vorrei fuggire, ma devo nascondere il mio corpo nudo. Si apre allora una porta. E all’improvviso, scopro di non essere sola. No! Insieme con la bestia che mi respira a fianco, sembra che altre cose respirino; e d’un tratto vedo brulicare ai miei piedi un ammasso di cose immonde. E anch’esse sono affamate. Comincio a correre senza fermarmi per cercare di ritrovare la luce. La bestia, che incalza, m’insegue di grotta in grotta, me la sento addosso, ha fame, tanta fame...»
Subito dopo descrisse minuziosamente anche le modalità dell’assassinio
«Io e mia madre demmo a mio padre dell’oppio, per addormentarlo. Poi arrivarono due uomini[...] Li conducemmo nella stanza di mio padre che dormiva e li lasciammo. Ma loro poco dopo uscirono, non avevano il coraggio, erano presi da pietà... dissero che era un’azione bassa e ignobile. Così dissi loro: "[...] lo farò io stessa!" Allora rientrarono nella stanza e questa volta io e mia madre li seguimmo. Uno di loro aveva un grosso chiodo che pose in verticale sull’occhio di mio padre; l’altro con un martello gli fece entrare il chiodo nella testa. Poi, nello stesso modo, gli piantarono un altro chiodo nella gola. Il corpo di mio padre tremava tutto. Quanto sangue usciva... Strano che un corpo mostruoso possa tenere tutto quel sangue... io e mia madre tirammo fuori il chiodo dalla testa e il chiodo dalla gola, avvolgemmo il corpo in un lenzuolo e lo gettammo in un giardino. ... Io non rimpiango nulla. Ho fatto ciò che dovevo fare».
fu un momento...rapido...secco. La
testa della ragazza cadde nel paniere
e fu mostrata al pubblico sconvolto.
Durante la confessione, Beatrice si rivolse al giudice ma egli era lì, influenzato dall’opinione del papa e totalmente noncurante di ciò che aveva subito la ragazza risose:
- «Beatrice, hai commesso un delitto orribile, ripugnante!»
- «Le leggi dell’Uomo non sono servite, mi sono fatta giustizia da sola»
- «Che Dio abbia pietà di te...domani...verrai condotta a morte»
- «Nessun giudice potrà restituirmi l’anima. La mia unica colpa è di essere nata! Io sono come morta e la mia anima non riesce a liberarsi. Non voglio morire... Chi mi potrà garantire che laggiù non ritroverò mio padre!»
Era l’11 settembre dell’Anno Domini 1599, tutta Roma era a Castel Sant’Angelo ad assistere allo "spettacolo": in realtà tutta la popolazione si schierò in favore di Beatrice ma il tutto fu inutile. Il primo a morire fu Giacomo: il boia gli si avvicinò con un ferro arroventato... gli strappò brandelli di pelle dal petto e dalla schiena, le urla del giovane entravano nelle ossa degli spettatori...alcuni si chiudevano le orecchie, altri fuggivano, altri piangevano, altri erano inorriditi. Toccò alla madre, Lucrezia: la donna fu fatta sedere sul ceppo a nuca scoperta e la tagliente lama dell’accetta del boia decollò la povera donna.
Era venuto il turno di Beatrice: si dice che il palco allestito per l’esecuzione all’improvviso crollò uccidendo alcune persone. Dopo aver sistemato il palco, la ragazza di sua spontanea volontà si diresse fina al patibolo: il boia si avvicinò e... fu un momento...rapido...secco. La testa della ragazza cadde nel paniere e fu mostrata al pubblico sconvolto. Il boia subì per primo la vendetta di Beatrice: morì, dopo pochi giorni, tra gli incubi e i sensi di colpa.
L’anima della povera ragazza non troverà pace neanche nei secoli successivi. Nell’anno 1798, infatti, i francesi avevano occupato Roma e a San Pietro in Montorio profanarono la tomba di Beatrice giocando poi col suo teschio.
Era un’estate di un paio di anni fa...mi recai a Castel Sant’Angelo a godermi gli ultimi scampoli di un’afosa e triste estate romana. La vita mi aveva messo davanti ad ostacoli che sembravano insormontabili e cercavo pace nel camminare in luoghi ancora intrisi di un non so che di magico. Mi fermai a contemplare il Tevere che scorreva vorticosamente sotto di me. Erano ormai le undici di sera, il Tevere continuava a scorrere, scuro, mormorante, sotto di me, mi voltai per contemplare il castello quando all’improvviso notai all’angolo a destra una figura vestita di bianco, sembrava una giovane bimba...mi avvicinai perché sembrava disorientata...camminava e si fermava...riprendeva il cammino, quindi si fermava nuovamente...quando si girò verso di me, il sangue mi si gelò nelle vene, soffocai un urlo di orrore ma al contempo quello sguardo mi rapì il cuore e capii che era la piccola Beatrice. Volevo scappare, ma non trovavo le chiavi del mio scooter... le cercai in tasca, nel casco ma non le trovavo fino a quando...
«Emiliano!»
Ebbi la sensazione di essere colto da un malore improvviso, mi sentii svenire...rimasi zitto, attonito
«Non avere paura, sento la tua sofferenza...passerà tutto!»
Non feci in tempo a dire nulla, mi stropicciai gli occhi e la figura della bimba scomparve e al posto suo notai le chiavi del mio scooter. Le presi, erano calde...
Tornai sul posto un anno dopo per ringraziarla...è vero...la mia vita era cambiata. Beatrice non riapparve: me ne andai triste, sconsolato ma con la speranza che finalmente possa trovare pace e dimenticare cosa le accadde tanti anni prima.
Emiliano Amici
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