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«... nel suo Regno (dello Zolfo) sta uno specchio nel quale si vede il Mondo intero. Chiunque guardi in quello specchio può vedervi e apprendervi le tre parti della sapienza di tutto il Mondo, cosicché diventi sapientissimo in questi tre Regni; quali furono Aristotele e Avicenna e molti altri che, come quelli delle età precedenti, videro in questo specchio anche come è stato creato il Mondo...»
Nuovo Lume Chimico
Opera di Redenzione |
Nel corso della storia d’Occidente la scienza dell’Alchimia, pur nell’immutabilità del suo fondamento, ha dovuto adattarsi alle circostanze, ai tempi, ai luoghi e alle istituzioni religiose in cui gli alchimisti si trovavano a operare.
Questa tendenza camaleontica era determinata dal fatto che gli alchimisti hanno da sempre avuto la particolare esigenza dell’anonimato, della solitudine, e dell’invisibilità per poter compiere indisturbati le loro ricerche.
Adamo Eva ed il Serpente tentatore.
Come si vede il serpente è strettamente
avvinghiato all'albero della conoscenza
del bene e del male e della morte.
(Mosaico del XII secolo)
In verità l’idea sembra essere molto antica, di certo precedente a queste fedi religiose. E’ possibile, infatti, che anche l’antico Egitto non ignorasse il dramma della caduta dell’Uomo Cosmico e dell’intera Natura.
L’insegnamento forse si trasmise, tramite Mose, dagli Egizi agli Ebrei e (successivamente) agli Arabi.
Il familiare mito della caduta racconta di Adamo, Uomo Universale, che viveva originariamente in Armonia con tutto il Creato, in uno stato altamente spirituale pieno di purezza e innocenza simboleggiato dal Paradiso.
Convinto dal Diavolo tentatore Adamo ed Eva mangiarono la mela proibita, quella dell’Albero della conoscenza del bene e del male.
In questo caso per «conoscenza» s’intende la comprensione relativa al mondo della materia soggetto alla dualità, alla contrapposizione degli opposti e alla morte.
In seguito a questo errore, il così detto «peccato originale», l’uomo fu punito dal suo Creatore e precipitato nel mondo della corporeità che noi tutti conosciamo.
In pratica l’essenza dell’Uomo Universale, incorruttibile ed eterna, fu smembrata in una moltitudine di uomini «particolari», corruttibili e soggetti al disfacimento.
L’umanità, dunque, si trovò a sperimentare la malattia, il dolore, la fatica, le difficoltà per poter sopravvivere giorno dopo giorno e, in ultima analisi, la transitorietà.
Ben presto l’egoismo e l’avidità, dettate dal «principe di questo mondo», influenzarono grandemente l’uomo terrestre il quale si trovò più spesso propenso al soddisfacimento dei suoi istinti animali e tenebrosi più che di porsi al servizio della Luce e della Spiritualità.
Ed ecco come dal mito si giunge alla condizione che tutti noi ci troviamo a vivere quotidianamente, in cui ogni essere, nella sua singolarità, si ritrova separato dagli altri.
Secondo gli alchimisti l’uomo (e con esso ogni figlio della Natura) cela in se un brandello dell’eternità perduta, il così detto «seme aureo» ricoperto dalle tenebre dell’ignoranza e del male. Il compito dell’alchimista è quello di liberare questo seme, ossia di trasmutare il Piombo in Oro nell’interiorità del suo essere.
Dio rappresentato come un Vento che
reca in grembo la Pietra Filosofale
(Michael Maier - Atalanta Fugiens)
Ciò nondimeno come fare per ripristinare una situazione che sembra essere irrimediabilmente compromessa dal capitombolo celeste?
V’è da rilevare che nel momento stesso in cui vi fu la Caduta dell’Uomo Universale, ebbe inizio (contemporaneamente) l’opera di Redenzione esercitata dal Verbo Divino.
Nel cristianesimo ciò è simboleggiato molto bene dal così detto Spirito Santo.
In effetti, in un mondo in cui tutto è malato, in cui ogni cosa è marchiata dal sigillo del peccato originale, in cui ogni essere appartenente ai tre regni della natura (minerale, vegetale e animale) si rivela, in ultima istanza, corruttibile e mortale, se esiste una possibilità di salvezza, questa non può che provenire da altrove, da un luogo elevato ed esterno al mondo della specificazione.
Ci riferiamo a un qualcosa che, sulla carta, deve essere necessariamente «Universale» ed avere una sorgente esteriore, immutabile ed eterna che sia esente da ogni forma di peccato.
Perciò, in questo scenario, il compito dell’uomo terrestre è quello di intervenire consapevolmente in modo da rimuovere ogni ostacolo e impurità contratto dopo la caduta per recuperare la condizione edenica data dall’Unità Primordiale.
Sicuramente le dinamiche di questo intervento non possono essere dettate da tentativi fatti alla cieca, ma occorre che una Luce rischiari la via sorreggendo i passi incerti del neofito. Naturalmente questa Luce è la manifestazione del Verbo Divino.
Nell’Antico Testamento tale Luce è chiamata Sapienza:
«Tutto ciò che è nascosto e ciò che è palese io lo so, poiché mi ha istruito la Sapienza, artefice di tutte le cose. In essa c’è uno Spirito Intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni, onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi.» (Sapienza 7,21-33)
La struttura a gradini nel
macrocosmo corrisponde ad un analoga
disposizione nel microcosmo umano
(Robert Fludd - Utriusque Cosmi)
In definitiva abbiamo due elementi sui quali rivolgere la nostra attenzione, uno attivo (quello dell’azione diretta sui materiali in opera) e un ricettivo (quello che si pone all’ascolto delle direttive dall’Alto).
Attività e passività devono coesistere nella Via Spirituale dell’Alchimia.
In altre parole, nell’ambito del glorioso progetto di redenzione, possiamo individuare due aspetti complementari e consequenziali:
1) Un lavoro di purificazione che l’alchimista deve operare su se stesso;
2) Un’applicazione altruistica dei principi di questo stesso lavoro verso l’esterno, in modo da agevolare una reintegrazione totale.
Questa duplice condotta si risolve in un’Unica Grande Opera.
Come dicevamo, in questo lavoro di redenzione riservato a tutti gli uomini di buona volontà, il genere umano non è solo... ciò rappresenta per ogni alchimista una Grande Fortuna.
«Sia lodato l’Altissimo - esclama Geber - che ha creato il nostro mercurio e gli ha dato una natura tale che niente gli resiste. E’ certo, infatti, che se non esistesse gli alchimisti si potrebbero gloriare quanto vogliono, l’opera alchemica sarebbe vana.»
Esiste dunque un mediatore tra il Cielo e la Terra (il nostro Mercurio) che ha un’efficacia duplice: interiore ed esteriore. Senza questo intermediario ogni operazione non può che essere difettosa. E’ propriamente tale Agente misterioso che differenzia un’operazione alchemica da una della semplice chimica.
Nell’ambito spirituale e interiore l’Agente occulto s’identifica con l’Amore. Ovviamente ci riferiamo non all’amore così tanto inseguito dall’uomo terrestre in preda ai suoi istinti più bassi, ma all’«Amore Vero» la cui sorgente inesauribile è il Verbo Divino nella sua opera di Redenzione.
Nell’ambito delle operazioni materiali, invece, gli alchimisti pare si siano impegnati maggiormente nel nascondere la Chiave di ogni trasformazione più che a rivelarla.
Con ogni probabilità non si tratta di alcuna delle fonti energetiche oggi note alla scienza profana.
Questa misteriosa Acqua Ardente, questo Fuoco Segreto, questa Manna Celeste, presumibilmente non è né un alcol, né uno spirito ben rettificato tratto dai migliori vini, né un acido corrosivo, né l’elettricità, né il così detto «fluido nervoso» come credevano diversi occultisti dell’ultimo secolo.
Forse non si tratta nemmeno dell’alga chiamata Nostoc, né della Rugiada di Maggio raccolta prendendo alla lettera la famosa IVa Tavola del Mutus Liber... quest’ultima riteniamo vada considerata come un’immagine analogica.
Sia come sia l’utilizzazione di questo misterioso Agente dovrebbe portare a una risurrezione, ossia a una «nuova nascita» nel mondo spirituale.
In pratica, riassumendo il lavoro di laboratorio, si tratterebbe di riportare un metallo o un sale metallico a uno stato non differenziato, operando propriamente una re-specificazione del corpo, per mezzo di un’energia più elevata, più universale rispetto a quelle comunemente note.
Il corpo in questione, eliminati gli elementi corruttibili ed eterogenei, diventerebbe una sorta di accumulatore di energia vitale. La così detta Pietra Filosofale.
Così l’attività di laboratorio dell’alchimista nella sua applicazione più conosciuta (quella riguardante il regno dei minerali) consiste nel guarire ciò che i vecchi Maestri chiamavano la «lebbra dei metalli», naturalmente dopo aver guarito la propria «lebbra» ossia la propria cecità interiore.
Come affermava il maestro Canseliet, «L’Alchimia è una costante purificazione. Bisogna che l’artista sia al diapason con i suoi materiali; senza questo si ha rottura, la comunicazione scompare, il contatto cessa. Se non si è pronti, non ci si deve, ad esempio, dedicare ad una separazione un po’ importante. Bisogna saperla dominare. è quanto meno pericoloso. Questa semplice separazione, un chimico sperimentato la tenterà, io gli darò gli stessi materiali, gli stessi crogioli, e la fallirà perché non la può fare. Tuttavia i suoi gesti saranno sicuri...» (estratto citato da Paolo Lucarelli nell’articolo "L’alchimia nella terra della piramidi" - rivista Abstracta nº 41)
Così i materiali in opera e l’alchimista stesso, grazie all’azione del Fluido Universale ed Eterno, si liberano gradualmente sino alla liberazione o reintegrazione finale.
Una vecchia massima recita che nessuno può dare ciò che non ha... trasportando l’aforisma al regno minerale possiamo dire che nessun artista può liberare una materia dal peccato originale se prima non ha liberato se stesso. Ed ecco che il lavoro di laboratorio procede di pari passo con il lavoro interiore in un tutto unico.
«A chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere» dice il Vangelo.
Cerchiamo dunque di acquisire i Doni dello Spirito con tutte le forze di cui disponiamo per poter fare poi dono di noi stessi al mondo intero.
Il Marchese di Carabà
email: m.dicaraba@libero.it
L'industrie et le savoir-faire valent mieux que des biens acquis
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