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«Nel centro della terra vi è una terra vergine, con la quale noi facciamo il nostro mercurio»
R. Lullo
R. Lullo
Correctio Fatuorum |
Frontespizio della raccolta di testi
alchemici intitolata «De alchimia
opuscula complura veterum
philosophorum» di cui fa parte
la Correctio.
La «Correctio fatuorum» è il trattato che apre la prima parte della raccolta «De alchimia opuscula complura veterum philosophorum» (Francoforte sul Meno, 1550, presso la tipografia di Cyriacus Iacobus).
La seconda parte di tale raccolta è il celebre e studiatissimo Rosarium Philosophorum (probabilmente si tratta della prima edizione a stampa di quel trattato, celebre soprattutto per le illustrazioni incluse in questa edizione), ma i trattati che compongono la prima parte non meritano meno attenzione.
In particolare la «Correctio» non manca di offrire spunti di riflessione interessanti sin dal prologo: si dice che l’Artefice ha il compito di portare a termine il «corso della Natura» e si specifica che tale «corso della Natura» è la cosiddetta «spiritualizzazione del corpo e corporificazione dello spirito» (come viene definita in altri testi); l’Artefice deve cioè rinvenire e rendere manifesta la «Natura Sottile» della materia su cui opera, Natura Sottile che, come il vetro ottenuto dalle ceneri, a loro volta ottenute dal legno, vi è già presente dall’inizio.
L’Artefice non deve creare nulla, né «falsificare» la Natura (si fa riferimento alla «tintura», di cui però si menziona anche il vero significato, al di là della funzione di falsificare i metalli); il vetro, per rimanere all’esempio, è ottenuto senza null’altra cosa che una sapiente applicazione del calore.
Ogni seme produce i suoi frutti secondo la propria «natura» (parola che conserva nel testo numerose accezioni): l’Artefice deve in primo luogo conoscere la «natura» della Materia dell’Opera, in secondo luogo deve procedere tenendo presente che «il cattivo Artefice distrugge la parte migliore della propria Materia, il buon Artefice ne perfeziona la parte peggiore».
Si fa infine riferimento all’importanza della preparazione teorica, la quale benchè del tutto inutile se fine a sé stessa, tuttavia per l’individuo che si incammini verso una Realizzazione costituisce un primo passo imprescindibile; questo é un concetto ricordato in tutte le forme di esoterismo (parola che in queste pagine intendiamo, conformemente all’etimo, nel senso di «dottrina che riguarda l’interiorità dell’essere umano»).
Dunque, ciò che ci proponiamo di fare adesso è di seguire il trattato nel suo svolgimento commentandone alcuni passaggi, procedimento che nel caso degli scritti alchemici ci sembra molto più utile di una pedissequa traduzione.
Ovviamente lasceremo al lettore il piacere di una lettura integrale del breve trattatello e non commenteremo ciascun punto degno di nota, cosa che richiederebbe certamente molto tempo. Inoltre il commento sarà finalizzato piuttosto a fornire spunti di riflessione invece che a fornire un preteso «vero significato» di checchessia, significato che come si ricorda nelle stesse pagine del trattato «non è rivelato se non a coloro a cui Dio piaccia rivelarlo».
Quattro Cariatidi portano sul capo un
matraccio da cui si sviluppano fiamme.
Sono sostenute da sfere con i simboli dei
quattro elementi («Philosophia Reformata»,
Johann Daniel Mylius).
Capitoli I, II
Nel primo capitolo «Sui principi naturali di quest’arte» e nel secondo «Di cosa siano composti i minerali» l’autore rimanda alle teorie sulle «Prime Qualità» fisiche (attive: caldo e freddo; passive: secco e umido) e sulla formazione di Minerali e Metalli a partire degli «Elementi» (Terra , fredda e secca; Acqua , fredda e umida; Aria , calda e umida; Fuoco, caldo e secco) contenute nel Metereorum di Aristotele.
Il rimando è al IV libro, che probabilmente l’autore cita a memoria, ma effettivamente la parte che utilizza ed espone in maniera abbastanza perspicua anche nei capitoli successivi è quella contenuta nel lib.III cap.9 nn.1-4, a cui non si può far altro che indirizzare il lettore.
L’alchimia occidentale usa come forma di espressione quasi esclusiva il linguaggio dei filosofi «scolastici» (secc. XIII-XV), il cui corso di studi consisteva principalmente nella lettura integrale e nell’analisi delle opere di Aristotele e dei relativi commentari, esistenti in gran numero.
Lo studio di questo materiale almeno nelle sue parti più rilevanti è imprescindibile per chiunque voglia affrontare lo studio dei testi alchemici.
Capitoli III, IV
Nei capitoli III e IV, «Come in particolare si generino i Metalli a partire dal Mercurio» e «Come si generi il Mercurio e quali metalli da esso si generino» prosegue l’esposizione: si era detto che i Metalli si distinguono dai Minerali perchè sono suscettibili di essere fusi o almeno di essere resi duttili dal calore, mentre i Minerali sono suscettibili di essere soluti dall’umidità; la «Materia Prossima» dei metalli sono l’«Argento vivo», paziente, e lo «Zolfo», agente.
«Materia Remota» sono in pratica le Qualità di cui sono composti lo stesso «Argento vivo» (o Mercurio) e «Zolfo» di cui si parla, i quali ovviamente non sono gli elementi chimici che conosciamo con tale nome.
Le Qualità qui entrano in gioco come come una «Esalazione della Terra» e una «Virtù Celeste»: lo Zolfo si origina da una Esalazione secca della Terra e dal calore della Virtù Celeste, e il composto può essere sciolto dall’umidità, qualità opposta alla sechezza; il Mercurio si origina da una Esalazione umida della Terra coagulata dal freddo della Virtù Celeste, e il composto può essere sciolto dal calore, qualità opposta al freddo.
Nel ventre della Terra, chiamato in questo caso anche «Vaso», lo Zolfo coagula il Mercurio generando i Metalli.
È ovvio che in tutto ciò non bisogna vedere un tentativo naif di spiegare i fenomeni naturali; al contrario, gli alchimisti e i commentatori di Aristotele, se non Aristotele stesso (non è dimostrabile), prendevano spunto dalle apparenze esteriori per rappresentare e comunicare degli schemi generali di pensiero, schemi che servivano a fornire una spiegazione complessiva e significativa di tutto l’ordine cosmico, ma soprattutto potevano avere applicazioni insospettate in funzione di una «presa di coscienza» da parte dell’individuo incamminato verso la conoscenza del proprio Principio.
È quanto espresso da quest’anonimo domenicano, commentatore (XIII / XIV sec.) del Metereorum:
«Tramite le cose manifeste e le cose naturali risaliamo dalla conoscenza degli effetti alla conoscenza delle cause; [...] qualunque altra scienza studiamo, facciamo ciò per raggiungere la conoscenza delle cose divine. Chi accumula conoscenze per una ragione differente è sviato nelle proprie intenzioni, a meno che non sia costretto a far ciò dalla necessità.»
Per quanto riguarda poi il fornire una spiegazione complessiva e intellegibile di tutto l’ordine cosmico, il commentatore dice:
«la scienza contenuta in questo libro [il Metereorum, N.d.T] è utile non solo alla conoscenza delle cose divine, come si è detto, ma quasi alla conoscenza integrale della natura [...]. è utile alla medicina, perchè qui si spiega la ragione di ciò che nell’arte medica è dato per assunto [...] è utile anche all’alchimia, perchè solo gli alchimisti possono veramente trasformare i Metalli senza ricorrere alla falsificazione [...] Ciò non va però inteso come se essi effettuino la trasmutazione in prima persona. Essi fanno ciò agendo come strumenti, applicando gli "agenti" adeguati ai "pazienti" corrispondenti, perchè la Materia Prossima di tutti i Metalli sono l’Argento Vivo e lo Zolfo, le cui nature gli Artefici possono trasmutare conglutinando e congelando» (Inserta super Meteora, lib. 4 cap. 1 n. 2).
Per quanto riguarda la «presa di coscienza» da parte dell’individuo incamminato verso la conoscenza del proprio Principio, un testo come il Pimandro recita:
«Voi tutti cui è concessa una parte della Mente [divina, N.d.T] [...] apprendete la natura di tutte le cose!- Ciò detto, la provvidenza [...] costituì le mistioni e le generazioni per le quali tutte le cose si riproducono secondo il proprio genere» E più oltre: «Chi conosce sé stesso diviene partecipe della natura divina («transit in Deum»), come disse il Verbo di Dio».
Capitoli V, VI, VII
L’Ermes alato, con le sue salite e
discese, tiene uniti il cielo e la terra.
Detto Mercurio è la materia dei sette
metalli (Famae alchymiae, 1717).
Nel capitolo V «Sulla formazione dei Minerali [«mirabilium» nel testo è un refuso da correggere con «mineralium» N.d.T.] che non traggono origine dal Mercurio» si esaminano più da vicino i Sali, che fino ad ora abbiamo chiamato genericamente Minerali e che nel trattato da questo punto in avanti verranno chiamati anche «Metalli Minori» o «Minerali Minori».
I meno virtuosi sono i più solubili, i più virtuosi sono i meno solubili. L’autore ne elenca quattro «deboli» e tre «forti», fra di essi lo Zolfo stesso, per poi passare a parlare delle tinture e del loro uso per falsificare i Metalli, uso che stigmatizza con decisione.
«Il vero Oro e il vero Argento non possono essere ottenuti in natura o grazie all’Arte se non per la riduzione dei corpi alla loro Prima Materia, [...] e ciò non avviene grazie alla sola liquefazione, ma grazie alla soluzione del Mercurio condensato».
A proposito dell’operazione della Liquefazione aveva già scritto nel cap. II «è certo che i Metalli prima fossero Argento Vivo perchè ogni cosa è fatta di ciò in cui si riduce. Si guardi all’esempio del Ghiaccio», mentre nel cap. VI scriverà «si vede chiaramente che ciascun corpo metallico contiene lo Zolfo visto che dopo averlo liquefatto tramite il calore del fuoco appaiono il Mercurio e lo Zolfo, il Mercurio nella sostanza e lo Zolfo nel colore, mentre galleggia sulla "pelle rossa" [del Metallo N.d.T.]».
Il discorso verrà ulteriormente approfondito nel capitolo VII «In che maniera sia possibile mutare artificialmente i Metalli Minori in Metalli» ove si ripete che non è possibile tale mutazione, perchè la loro Materia non è il Mercurio.
Con essi è possibile «purgare» e «dissolvere» i Metalli, o «falsificarli per ingannare gli uomini», ad esempio tergendo la nerezza del Piombo, ma non trasmutare i Metalli stessi, né trasmutare essi in Metalli.
«Il nutrimento nella specie umana non può generare l’uomo se prima non venga convertito in sperma, e aggiunto al suo complemento porti a termine la generazione»; «ogni cosa che genera, genera una cosa simile a sé; ma se la tintura tramite i "Quattro Spiriti" [Zolfo Volgare, Arsenico, Auripigmento e Sale Armoniaco N.d.T.] è capace di generare qualcosa, la Terra [loro Materia Prossima N.d.T.] genererà qualcosa di simile a sé, terreo come lei»; «se l’Acqua viene mischiata alla Terra, tali Elementi si separano tra loro, perchè la Terra va verso il fondo, visto che è pesante e secca, mentre l’Acqua va verso la superficie, e in alcun modo tali Elementi possono congiungersi in modo tale che le loro nature contrarie siano congiunte in una sola natura. L’Acqua ovviamente può rendere monda la Terra, ma che la secchezza della Terra possa essere artificialmente mutata nell’umido dell’Acqua non è da credere, benchè la Terra si inumidisca grazie all’Acqua. Allo stesso modo i Minerali Minori si possono congiungere con i Metalli e purificarli, e in un certo senso svolgere il ruolo di Causa Formale nei loro confronti, ma la Natura non concede che permangano congiunti con essi e che portino il loro germe a maturazione».
Si può constatare come le osservazioni tratte dalla comune pratica della metallurgia (secondo i procedimenti artigianali ovviamente, non secondo quelli industriali) vengano convertite, grazie alla teoria degli Elementi, in «schemi» applicabili ad ogni ordine di realtà, nella qual cosa risiede propriamente il loro interesse per il saggio Artefice, che andrà rintracciando in ogni cosa (non solo nei minerali) la sua vera natura, conformemente all’istruzione che gli è stata impartita.
Ma continuiamo con il trattato: nel capitolo VI «Sulla differenze della generazione dello Zolfo semplice, dello Zolfo volgare e del Mercurio» si distingue tra Zolfo «vivo» e «bruciante».
«Lo Zolfo Semplice, vivo, che produce l’Oro e l’Argento non è altro che un vapore caldo e secco, generato dalla purissima secchezza terrestre», mentre lo Zolfo Volgare [bruciante N.d.T.] è «acquoso», le esalazioni della Terra da cui origina sono «viscose» e il suo calore è forte e instabile.
«Quanto più lo Zolfo è semplice, tanto più appetisce il Mercurio semplice e pulito, gli aderisce, gli si congiunge saldamente, e dalla loro unione si generano Metalli migliori».
Già nel capitolo IV l’autore aveva presentato una lista di Metalli di cui spiegava la composizione, ed ora vale la pena di considerarla più da vicino:
«se l’Argento Vivo viene coagulato dallo Zolfo puro, in cui risiede la forza ignea, si formerà Oro Semplice. Se invece lo Zolfo è cattivo è di scarsa virtù, ma il Mercurio di buona qualità, questo verrà convertito in Rame. Se l’Argento Vivo è pesante, terreno e immondo, e lo Zolfo immondo e fetido, terroso e irrigidito, si genera il Ferro, il quale difficilmente raggiunge la Fusione. Lo Stagno invece sembra avere Argento Vivo di buona qualità, ma Zolfo cattivo e misturato male, per questo causa lo Stridore di Denti. Il Piombo ha Argento Vivo grossolano, di cattiva qualità, di cattivo sapore, fetido e di scarsa virtù, perciò si corrompe per la violenza del Fuoco».
Questa lista non è certo fra le più chiare e complete della letteratura alchimistica, tuttavia valga per essa come per tutto il resto un’osservazione: ciò che rende divertente la lettura dei testi alchemici è cercare di rintracciare la natura di ciascun termine che compone le talvolta lunghe enumerazioni di sostanze, di aggettivi loro assegnati, di nomi di operazioni, etc.
Questo era valido per il lettore coevo, probabilmente più abituato a queste forme di espressione, ma rimane valido anche per il lettore contemporaneo, che può così apprezzare i legami di intertestualità in questo particolare genere letterario; in ogni caso è fondamentale per il lettore, di ieri o di oggi, che legga i testi alchemici per ragioni diverse dal semplice intrattenimento o dallo studio letterario.
Negli scritti ermetici autentici nulla è scritto «a caso», a volte neanche i refusi, ma ci sentiamo di consigliare al lettore contemporaneo che, piuttosto che sbizzarrire la propria fantasia alla ricerca di spiegazioni, vale la pena leggere più testi possibile, memorizzando i passaggi che colpiscono maggiormente, e iniziare a spiegare i testi confrontandoli gli uni con gli altri.
Per finire, a vantaggio dei lettori meno esperti, segnaliamo le tradizionali corrispondenze dei Metalli con i Pianeti, che sono abbastanza note, e su cui si tornerà (in questo e in altri scritti) per sviluppare le numerose considerazioni cui danno adito: Piombo-Saturno-, Stagno-Giove-, Ferro-Marte-, Rame-Venere-, Argento Vivo-Mercurio-, Argento-Luna-, Oro-Sole-.
In tutti gli scritti alchemici i nomi dei Pianeti sono intercambiabili coi nomi dei Metalli corrispondenti, e ciò è valido naturalmente anche per i tradizionali simboli, ancora in uso, che rappresentano allo stesso tempo il Pianeta e il relativo Metallo.
Capitoli VIII, IX, X, XI
Nel cap. VIII «Ancora a proposito del filosofico Zolfo Semplice che non brucia» si ricapitola quanto detto precedentemente sull’operazione di Soluzione del Corpo e della sua Riduzione alla Prima Materia, e si procede affermando che tali operazioni servono a trarre dalla Prima Materia la sua Virtù Occulta, «ossia lo Zolfo digerito e decotto nel Minerale per opera della Natura».
Il Corpo, la Materia dell’Opera su cui si conduce questa operazione, qui chiamato anche Pietra, è un corpo animato: "viene detto Rebis da «bina res» [che può essere tradotto con «cosa doppia», ma letteralmente si tradurrebbe «cosa accoppiata», N.d.T], cioè «fatto di Corpo e Spirito», [spirito che è] bianco o rosso; ciò ha tratto in errore molti insensati".
Nel cap. IX «Come lo Zolfo Rosso sia nel Sole e lo Zolfo Bianco nella Luna» si ripete, sempre per fornire indicazioni sul Corpo, Materia dell’Opera, che «l’intenzione di tutti i Filosofi [sinonimo di «Artefici», N.d.T] è migliorare la parte peggiore delle cose tramite la loro parte migliore, ma gli insensati capiscono tutto al contrario e provano a perfezionare la parte migliore con la peggiore. Essi cercano in una cosa ciò che in essa mai vi fu, ossia cercano l’Oro e l’Argento nelle cose infiammabili» e nel cap. X «Non è utile cercare questo Zolfo in altri Corpi Malati, perchè non ve n’è» si specifica ulteriormente:
«non esiste una cosa di maggior temperanza al di fuori di quella contenuta in questi due Corpi [Sole e Luna N.d.T.] in cui vi sono i Raggi che Tingono, come si è già detto, perchè I Corpi Malati contengono in sé lo Zolfo fetido e infiammabile, non quello di natura virtuale [lo Zolfo Semplice che non brucia, N.d.T.] contenuto nel Sole e nella Luna».
Nel cap. VIII si dice che «le cose di natura estranea non perfezionano la nostra Pietra perchè nulla è più confacente a una cosa qualsiasi di ciò che gli è più prossimo, perciò la cosa che la perfeziona è una Medicina Semplice e di Natura Virtuale, emanata dall’Acqua Mercuriale in cui sono disciolti l’Oro e l’Argento.»
Nel cap. IX: «lo Zolfo Rosso dei Filosofi è nel Sole per via della maggiore Digestione e lo Zolfo Bianco nella Luna, per via della minore Digestione. [...] Il Calore agendo sull’umido genera la Nigredo, ma agendo sul secco genera l’Albedo, e il Fuoco, se il Calore è sovrabbondante in esso, muta tale Albedo in purissima Citrinitas [«giallezza» N.d.T.] [...] L’Oro, dunque, è Zolfo Bianco che ha attraversato la Citrinitas, e perciò lo Zolfo in esso è Zolfo Rosso, cioè Fuoco allo stato puro, che ha digerito molto il Bianco, e per questo si può dire anche che lo Zolfo esiste nel Sole in ambedue gli stati.»
Invece «nella Luna non c’è altro che lo Zolfo Bianco semplice, ma non digerito come il Rosso, né privato della Nigredo dall’azione del calore che contiene in sé naturalmente. La specie del Fuoco è coperta e nascosta, e agisce in essa più grazie all’Arte che grazie alla Natura, ma non è impossibile che l’Arte grazie alla Natura digerisca meglio lo Zolfo e lo perfezioni, visto che tende naturalmente al proprio perfezionamento, solo che da solo non può se non viene posto in opera tramite l’Arte e il Lavoro.
Segui dunque la Natura tramite l’Arte, cuoci in maniera simile, digerisci, conduci a maturazione, poichè già "in actu" la Natura contiene in sé il Fuoco naturale con cui giungere a maturazione.»
Nel cap. X: «puoi purgare i Metalli con i Minerali Minori, ma dopo averli purgati non avranno comunque la natura aurea e argentea in sé, perchè non hanno conosciuto la digestione e la decozione aurea, come l’Oro e l’Argento, e non hanno Zolfo maturo come questi ultimi. Ciò che è da fare è soccorrere i Metalli immaturi con quelli maturi, affinchè maturino anch’essi.»
Si sarà notato che questa parte del trattato è la più densa di indicazioni operative, nondimeno riflettere attentamente su ciò che vi si dice risulta molto utile anche al lettore che non abbia ancora identificato la Materia dell’Opera, e infatti abbiamo messo in risalto proprio i passaggi più significativi da questo punto di vista.
Riguardo all’Opera, si fa menzione delle tre Fasi (Nigredo, Albedo e Rubedo) che costituiscono la suddivisione più generale, più immediatamente legata alla pratica della metallurgia e più diffusa fra gli alchimisti d’occidente e d’oriente.
Fra l’Albedo e la Nigredo non è raro veder comparire una o più fasi intermedie (qui si fa menzione dell’«Ingiallimento») indicate con varie tonalità di colore o spesso con riferimenti all’iride o alla coda di pavone.
Questa suddivisione in tre Fasi non è l’unica che esiste ma i diversi modi di scandire l’Opera non rappresentano concezioni esclusive, perciò si trovano spesso coordinati o giustapposti anche in uno stesso scritto.
In particolare nell’intera Correctio Fatuorum è questione di condurre a maturazione i Metalli tramite un agente, o migliorare i Metalli peggiori tramite i migliori, e questo presuppone una scansione dell’Opera in sette fasi a partire dal Metallo peggiore qualitativamente (il Piombo) da cui si ottengono poi Stagno, Ferro, Rame e finalmente l’Argento Vivo puro, «l’Acqua Mercuriale in cui sono disciolti l’Oro e l’Argento» come si dice nel trattato.
I segni zodiacali e i rispettivi pianeti
dominanti. Ogni pianeta corrisponde
ad uno dei sette metalli terrestri.
L’ordine è il seguente: per Saturno le case sono Capricorno e Acquario; per Giove sono Pesci e Sagittario; per Marte Scorpione e Ariete; per Venere Bilancia e Toro; per Mercurio Gemelli e Vergine; per la Luna l’unica casa è il Cancro e per il Sole è il Leone.
Si può notare che le dimore dei Pianeti (una nella metà «maschile» dello zodiaco e una nella metà «femminile») sono Segni di natura fredda e secca (terrea) o calda e umida (aerea) per Saturno, Vergine e Mercurio; fredda e umida (acquea) o calda e secca (ignea) per Giove e Marte. Le coppie costituite da Saturno e Giove, Marte e Venere hanno dunque case affini alla natura di ciascuno dei quattro Elementi, e ciò presenta relazioni con i simboli che rappresentano tali Pianeti (come anche i Metalli corrispondenti), simboli che come è noto sono costituiti dalla croce degli Elementi più il simbolo della Luna (per Saturno e Giove) o del Sole (per Marte e Venere), collocato in posizioni diverse rispetto alla croce; su tale questione il lettore non potrà mancare di esercitare la propria sagacia.
Rimane da considerare il ternario costituito da Mercurio, Sole e Luna, e ancora una volta le case coinvolte sono di Segni affini ciascuno a uno dei quattro Elementi:
le case di Mercurio sono quella dei Gemelli (segno d’Aria) e della Vergine (segno di Terra) mentre per la Luna è quella del Cancro (segno d’Acqua) e per il Sole è quella del Leone (segno di Fuoco).
Questo ternario ha una importanza speciale in tutta la letteratura alchimistica, e molte sarebbero le cose da dire al riguardo, ma vogliamo sottoporre all’attenzione del lettore solo un breve passaggio tratto da «Il Mondo Magico degli Heroi» di Cesare della Rivera, vasto trattato sull’alchimia edito per la prima volta a Milano nel 1605, e recentemente riedito dalle Edizioni Mediterranee (Biblioteca Ermetica, Roma, 1986):
Frontespizio dell’«Opus Medico-Chymicum»
di Johann Daniel Mylius. Vi si notano i
quattro elementi, i rispettivi segni zodiacali,
la ruota dello zodiaco, i sette pianeti ed il
Sole centrico che include nel suo orbe
ogni cosa.
L’Opera alchemica molto spesso è presentata come il ripercorrimento in senso inverso di un processo cosmogonico; ovviamente, fatti i dovuti adattamenti, può essere presentata come un processo cosmogonico essa stessa, o ancora come una «soluzione» e una «coagulazione», fasi che sono successive solo a livello logico, mentre possono benissimo essere simultanee a livello pratico.
Tutto ciò è fra l’altro in relazione con le varie considerazioni che si possono esprimere a proposito delle metà «maschile» (dal Leone al Capricorno) e «femminile» (dall’Acquario al Cancro) dello zodiaco, ma è impossibile dilungarsi oltre sull’argomento in questa sede.
Col capitolo XI «In che modo l’Oro curi le infermità degli uomini e i corpi malati dei Metalli» si conclude la Correctio Fatuorum.
I due capitoli seguenti infatti costituiscono un trattato autonomo, in forma di «expositio» scolastica, molto probabilmente di altra mano, che tocca e approfondisce alcuni temi della Correctio, mentre l’ultimo capitolo è un brevissimo scritto sul Mercurio che nel testo stesso è attribuito a Calisteno.
Il cap. XI come dicevamo chiude la Correctio e vi si riprendono fra l’altro i temi già toccati nel prologo; una cosa importante da segnalare è che vi si enuncia chiaramente la possibilità di applicare le conoscenze espresse tramite il linguaggio alchemico anche ad altri ambiti, diversi dal regno minerale:
«l’eccellenza del Fuoco che agisce nell’Oro consuma tutti gli umori dei Corpi Malati, sia che siano malati a causa del caldo, sia che siano malati a causa del freddo»; fin qua ci si riferisce ai Metalli, mentre poco dopo: «ringiovanisce, rivivifica, conserva la salute, rinforza la natura, espelle ogni malattia dal corpo, elimina il veleno dal cuore, ammorbidisce le arterie, scioglie il contenuto dei polmoni... per farla breve giova a tutto l’organismo» con una trasparente applicazione all’organismo umano.
In effetti non si vede quale sia il limite per applicare le conoscenze comunicate secondo il linguaggio alchemico, ossia a quali e quanti ambiti si possano applicare, e questo fatto è da tenere in considerazione quando si abbia l’intenzione di intraprendere l’Opera in maniera differente rispetto ai «soffiatori di carbone».
Medius Currens
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