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«Per noi, questo piccolo monumento (o gnomone) non serve unicamente e semplicemente ad indicare l’ora del giorno, ma indica anche il cammino del Sole dei saggi nel lavoro filosofale. E questo cammino è regolato dall’icosaedro, che rappresenta quel cristallo sconosciuto, il Sale della Sapienza, lo spirito o il fuoco incarnato, lo gnomo familiare e servizievole, amico dei buoni artisti, che assicura all’uomo l’accesso alle supreme conoscenze della Gnosi antica.
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Il greco gnwma, equivalente fonetico del francese "gnome", significa l’indice, ciò che serve a far conoscere, a classificare, ad identificare una cosa; è il suo segno distintivo. Gnwmwn è anche il segno indicatore del percorso solare, l’ago delle mediane solari è il nostro gnomone. Da meditare. Sotto questa cabala si nasconde un imporante segreto.»
Fulcanelli, Le Dimore Filosofali, P.189 (II) e 215 (I)
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Il greco gnwma, equivalente fonetico del francese "gnome", significa l’indice, ciò che serve a far conoscere, a classificare, ad identificare una cosa; è il suo segno distintivo. Gnwmwn è anche il segno indicatore del percorso solare, l’ago delle mediane solari è il nostro gnomone. Da meditare. Sotto questa cabala si nasconde un imporante segreto.»
Fulcanelli, Le Dimore Filosofali, P.189 (II) e 215 (I)
L’Orologio di Hermes |
Sull’ormai «classico» vocabolario della lingua italiana, curato da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, alla voce «meridiana» si leggono le seguenti definizioni:
Nella figura qui sopra è schematicamente
rappresentato il Meridiano astronomico di un dato
luogo.
2. «Orologio solare di cui tale linea é l’elemento essenziale.»
Per chiarire tali definizioni è necessario sapere che il meridiano del luogo è indicato come il circolo massimo della sfera celeste passante per lo Zenit, il Nadir ed i due Poli (Nord e Sud). Dunque questa linea immaginaria taglia la volta celeste in due porzioni (due «semisfere») esattamente uguali.
In genere con il termine «Meridiana» ci si riferisce ad uno strumento costituito da un’asta che, colpita dalla luce del Sole, proietta la sua ombra su un quadrante orario graduato, posto solitamente su una parete o sul pavimento. Dall’indicazione dell’ombra sul quadrante é possibile ricavare l’ora locale, (ossia l’ora in funzione del luogo in cui é sito l’orologio solare) e la stagione in corso.
In pratica la funzione dello strumento in oggetto é propriamente quella di «segnare il tempo» attraverso il percorso apparente del Sole sulla volta celeste.
In alcuni edifici, in luogo della classica asta (o gnomone), abbiamo un foro praticato sul tetto. Vi sono degli esempi assai eloquenti di questa tipologia a Bergamo nel Palazzo della Ragione e nel Duomo di Milano. Ovviamente, in quest’ultimo caso, sul quadrante verrà proiettato un fascio di luce anziché un’ombra.
È importante considerare che l’uso della posizione del luminare diurno per determinare il tempo corrente é assai antico ed attestato anche dalla Bibbia (precisamente in Isaia 38, versetti 4-8) laddove si legge:
Meridiana classica risalente al 1770,
costituita da uno stilo ed un
quadrante orario. È sita sulla facciata
meridionale della Canonica del comune
di Varena (TN)
"Allora la parola del Signore fu rivolta a Isaia:
«Và e riferisci a Ezechia: Dice il Signore Dio di Davide tuo padre: Ho ascoltato la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco io aggiungerò alla tua vita quindici anni. Libererò te e questa città dalla mano del re di Assiria; proteggerò questa città. Da parte del Signore questo ti sia come segno che egli manterrà la promessa che ti ha fatto. Ecco, io faccio tornare indietro di dieci gradi l’ombra sulla meridiana, che è già scesa con il Sole sull’orologio di Acaz». E il Sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso."
Questo passo risale (secondo l’opinione accettata) al 700 a.C., data che ci viene confermata da Erodoto, il quale nelle sue Storie afferma:
«La meridiana, lo gnomone e la suddivisione della giornata in dodici parti, i Greci li hanno appresi invece dai Babilonesi.» (Nota 1)
Tuttavia siamo dell’opinione che l’utilizzo della meridiana, o di apparati simili, si perda nella notte dei tempi.
A quanto sembra, solo dopo il 1300 d.C. l’orologio solare venne progressivamente sostituito dall’orologio di tipo meccanico, strumento al quale noi moderni siamo ormai abituati.
A questo proposito va sottolineato che gli intervalli temporali (le così dette «ore») usati dai nostri antenati, erano assai diversi dagli attuali.
Infatti il sistema di riferimento oggi in uso prevede che un giorno (ossia l’arco di tempo che la Terra impiega per compiere un giro intorno al proprio asse) sia costituito da ventiquattro parti uguali, ciascuna della durata di sessanta minuti primi.
Per gli antichi le ore avevano invece una durata variabile regolata (per l’appunto) dall’altezza del Sole e direttamente leggibile sul quadrante della meridiana.
In pratica, per ottenere la durata di un’«ora naturale» nel giorno, basta dividere per dodici il tempo che intercorre tra l’alba ed il tramonto.
Nella notte invece occorre dividere per dodici il tempo che separa il tramonto del nostro Luminare dal suo nuovo sorgere.
È evidente che le ore diurne (in una data località) avranno un diverso arco temporale rispetto alle ore notturne, tranne che nel momento dei due equinozi. (Nota 2 - per visionare in tempo reale le ore naturali basta fare riferimento alla pagina dedicata al calcolo delle Ore Planetarie. Infatti «Ore Planetarie» e «Ore Naturali» sono espressioni dal medesimo significato - n.d.r.)
Ne deriva che lo svolgersi del tempo seguiva per gli uomini un corso assolutamente naturale legato non solo ai ritmi di nostra Madre Terra ma anche al luogo dove l’individuo si veniva a trovare.
Ogni località aveva dunque la sua importanza capitale ed un proprio andamento temporale dal quale non si poteva prescindere.
La rilevanza di una regione rispetto ad un’altra era tenuta in grande considerazione al punto d’essere considerata un fattore influenzante i tre regni della natura nonché gli usi e costumi dei vari popoli abitatori.
Una delle testimonianze più autorevoli di questo modo di vedere la realtà esteriore ci viene offerta da Claudio Tolomeo che nel suo celeberrimo Tetrabiblos, afferma con sicurezza:
«Le caratteristiche di ciascun popolo sono in relazione sia ai paralleli ed agli angoli, che alla loro posizione nei riguardi dell’eclittica e del Sole [...] Tratteremo dunque innanzitutto delle caratteristiche dei popoli, dei loro corpi e dei loro costumi, i quali tutti si accordano alle qualità naturali degli astri e dei segni cui sono assoggettati.»
Schema del percorso giornaliero del sole.
Come si vede il «Medio Cielo» è il punto
sulla volta celeste in cui il Sole culmina a
mezzogiorno.
Le considerazioni di cui sopra agli occhi dell’uomo moderno possono apparire senz’altro obsolete o, nel migliore delle ipotesi, un pò stravaganti.
La cosa non sorprende affatto in un’epoca come la nostra, caratterizzata da una massificazione smodata ed incresciosa, nella quale l’individualità e l’unicità soggettiva cedono il passo all’insieme scialbo senza identità alcuna e alla moltitudine priva di un’anima. Il lettore ci perdonerà dunque se insistiamo su questo punto.
L’astrologo romano Marco Manilio nel suo poema Astronomicon, scritto nei primi decenni dopo Cristo, riferisce che:
«Il primo (cardine della volta celeste o «Medio Cielo») in potenza è quello che regna alla sommità dei cieli e che con linea impercettibile divide a mezzo il mondo: esso infatti è il più nobile, a cagione dell’elevata sede che occupa.»
Successivamente Raimondo Lullo (detto anche Doctor Illuminatus) riprenderà l’argomento:
«L’influenza diretta e verticale della costellazione sarà sempre più forte delle influenze indirette ed oblique: tale è il caso del Sole che dispensa un calore maggiore a mezzodì che in altre ore del giorno.» (Tractatus novus de Astronomia - 1274 d.C.)
Chiariamo subito che il «Medio Cielo» è che il punto astronomico dato dall’intersezione dell’eclittica (Nota 3) con il meridiano del luogo considerato. Esso è il luogo laddove il Luminare diurno si trova a transitare a mezzogiorno, momento in cui raggiunge l’altezza massima dall’orizzonte esattamente a Sud.
A nostro avviso v’è una stretta connessione tra meridiano e Medio Cielo giacché il vocabolo «meridiano» deriva dal latino meridianus, termine composto dall’accostamento delle due parole medius dies che letteralmente significa «mezzo giorno».
Secondo gli antichi si tratterebbe, come abbiamo appreso dalle nostre testimonianze, del punto del cielo (ed anche dello Zodiaco) che massimamente fornisce la sua impronta, il suo marchio distintivo, al luogo considerato.
Il volenteroso che vorrà approfondire le argomentazioni che abbiamo sin qui trattato non mancherà di procurarsi del materiale interessante sia sul Web che su pubblicazioni specifiche.
In questa sede intendiamo invece sviluppare qualche riflessione a carattere simbolico certamente meno usuale e più difficile da reperire.
Torniamo dunque alla nostra meridiana e precisamente al moto celeste del Sole e facciamo insieme un passo in avanti nella comprensione della metafore arcane.
Certamente a molti non sarà sfuggito che il caldo «astro del giorno» descrive continuamente nel cielo, a causa del moto di rotazione compiuto dalla Terra su se stessa, una circonferenza. Questo circolo, che è il percorso solare apparente, si estende solo in parte sopra l’orizzonte, ma ci si può figurare il suo continuum sotto la linea del tramonto.
Quindi giorno dopo giorno, il Sole descrive dei circoli nel cielo di posizione variabile a causa dell’alternarsi delle stagioni.
Ora, da questi circoli virtuali ad immaginarsi le spire concentriche di un serpente il passo è assai breve, specialmente se si considerano gli occhi pieni d’attenzione vivida e la fruttuosa immaginazione dei nostri antenati.
Ciò dunque spiegherebbe il motivo per cui il Sole, nell’Egitto dei faraoni, era sovente compagno del Serpente. Spesso infatti ritroviamo la figura di Osiride, dio solare, associata al serpente sacro dispensatore di vita, come capita ad esempio nella tomba di Ramses VI e precisamente nel famoso «Libro delle Caverne» nel quale Osiride è rappresentato cinto dalle spire di un grosso serpente chiamato Neharer, o Mehen, termine che significa «accerchiatore».
La Terra non è forse accerchiata dal moto degli astri?
Ed il Sole non la stringe forse costantemente nella morsa serpeggiante del suo influsso?
Dipoi, nell’antico Egitto, il serpente cosmico appare anche come Sata, termine che vuol dire «figlio della terra», che é ritratto con molte spire o con una coda in bocca.
Di questo mitico serpente ci riferisce il Libro dei Morti (caput CXXXVII):
«Io sono il serpente Sata dilaniato dagli anni. Io muoio e rinasco ogni giorno. Io sono il serpente Sata che dimora nei più profondi recessi della terra. Io muoio e rinasco e rinnovo me stesso ringiovanendo quotidianamente.»
Quindi è evidente il parallelo tra questo serpente ed il Sole, infatti entrambi giornalmente nascono (all’alba) e muoiono (al tramonto) rinnovando costantemente se stessi.
Inoltre appare altrettanto chiaro che questo serpente è sicuramente l’antenato più accreditato del celebre Ouroboros, ossia di quel Dragone che si morde la coda disegnando un cerchio che fu il simbolo della manifestazione intera, emblema assai caro all’Alchimia.
Il serpente Apophis viene trafitto da
una lancia d’acciaio. (Libro dei Morti,
Parigi, Museo del Louvre)
Un ulteriore testimonianza sulla corrispondenza in oggetto ci viene fornita da un’altro antico documento egizio nel quale si legge la seguente invocazione:
«Io ti invoco, tu che sei grande nel cielo, Sabaoth, Adonai, Grande Dio, splendente Heliopolis che brilli su tutta la terra. Tu sei il grande serpente che cammina alla testa di tutti gli dei, tu tieni il primo posto in Egitto».
A questo punto chiameremo in causa Michele Sendivoglio, alchimista del XVI secolo, il quale ci fornisce almeno due spunti riflessivi da non disprezzare:
«L’Anima del Mondo, o Spirito Universale, domina potentemente questo astro (del Sole), che con i suoi raggi si lancia a dare vita e movimento all’Universo. Le virtù di tutte le cose sono insite nel Sole... E siccome Dio ha voluto che le cose superiori avessero la loro immagine nelle cose inferiori, si vede che ne ha voluto una del Sole nell’Oro, che possiede, racchiuse nel suo corpo, la virtù ampliate del Sole»
Il primo spunto riguarda l’evidente collegamento tra Macrocosmo e Microcosmo e, nella fattispecie, tra «Sole sidereo» ed «Oro metallico» seguendo l’apoftegma di Ermete Trismegisto riportato nella classica Tavola Smeraldina:
«Tutto questo è vero, senza menzogna, certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per perpetuare il miracolo della Cosa Unica.» (Nota 4)
Dunque si dovrà ritenere che tutto ciò che riguarda il Macrocosmo è legato indissolubilmente, o meglio si riflette come in una sorta di Speculum, sul Microcosmo, che per l’uomo comune è la realtà sensibile e per l’alchimista la realtà altrettanto sensibile della sua Grande Opera.
Il secondo spunto offertoci dal Sendivoglio riguarda invece l’importante concetto di Anima del Mondo, termine che l’autore ci indica senza ambagi come sinonimo di Spirito Universale. (Nota 5)
Nella teorica si tratta della sostanza vivificante della Natura che con il suo soffio positivo anima tutti i corpi appartenenti a questo mondo sublunare.
Bisogna considerare che così come, secondo quelli che sono i canoni dell’astrologia classica, il Sole Macrocosmico trova la sua esaltazione (Nota 6) quando transita nel segno dell’Ariete, altrettanto accadrà anche a questo Sole Microcosmico che troverà la sua esaltazione nell’Ariete Terrestre.
Apparirà evidente, a questo punto della nostra trattazione, che la meridiana era uno strumento non solo utile nel seguire il moto del nostro Luminare diurno ma anche (di riflesso) a definire il ciclo stagionale dello Spirito Universale.
Frontespizio del trattato alchemico
intitolato La Grande Opera Rivelata
(Parigi, 1779). Si noti come il triangolo
recante nel mezzo la sacra bottiglia sia
rivolto verso il segno dell’Ariete.
Ed ancora è la verga magica (Nota 7) di Aronne che gettata davanti al faraone ed ai suoi servi, divenne un serpente (cfr: Esodo 7,10) e con la quale Mosé, sul monte Oreb, percosse la roccia da cui ne scaturì l’acqua per dissetare le genti. (cfr: Esodo 17,6)
La medesima verga venne ugualmente utilizzata da Mosè per aprire le acque del Mare ed assicurare un passaggio privo di pericoli al popolo d’Israele. (cfr: Esodo 14,1)
Senza questa, infatti, è impossibile per chiunque guadagnare la terraferma ed uscire dal labirinto ordito dai Saggi.
Diremo di più. Non tutti riflettono sul fatto che ogni cosa che nasce è, a causa di un fato ineluttabile, destinata a perire. Questa è una legge di Natura alla quale tutti noi dobbiamo sottostare. La vita e la morte sono una cosa sola legate insieme da un ciclo che porta dall’una all’altra. È l’eterno movimento secondo il quale tutto ritorna al suo punto di inizio, tutto ritorna alla polvere caotica da cui è partito.
Quindi, riprendendo il nostro argomento, ossia l’Anima del Mondo, possiamo affermare che questo agente igneo può dare la vita così come la morte.
Essa viene rappresentata da una suggestiva visione descritta nell’Apocalisse, laddove un personaggio ardente dichiara:
«Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!».
Ecco qui di seguito la descrizione di questa figura terribile laddove ritroviamo alcuni temi già trattati:
«Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l’aspetto del Rame splendente purificato nel crogiolo. La voce era simile al fragore di grandi acque.
Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al Sole quando splende in tutta la sua forza.» (Apocalisse 1,8-16)
L’incontro tra ciò che sta in alto e ciò
che sta in basso nella Grande Opera.
Immagine tratta da: «Le Triomphe
Hérmétique», Limojon de Sainct
Disdier - 1699
Salomon Trismosin, nel suo famoso trattato alchemico Splendor Solis (1512), riporta l’affermazione caritatevole attribuita al leggendario «Principe di Sapienza» Ermete Trismegisto che ripetiamo di seguito:
«Questa Opera può essere definita come una fine del Mondo, in quanto il Cielo e la Terra vengono a congiungersi; ma nessuno è capace di conoscere attraverso il Cielo e la Terra, le nostre due disposizioni precedenti, velate da tanti Geroglifici».
Eppure il Mondo che conosciamo presto passerà, questo sembra almeno assicurarci un antichissimo libro di autore ignoto che ci fu mostrato, non molto tempo addietro, da un Caro Amico espertissimo ed erudito, appassionato collezionista di annosi volumi più unici che rari. Il curioso testo, del quale ci sono pervenuti solo alcuni frammenti, è stato inciso su lamine di piombo sicuramente utilizzando delle punte d’acciaio affilato.
A quanto pare i versi di quest’opera, a tutta prima incomprensibili, furono stesi in greco, la traduzione dei quali è stata possibile solo attraverso un espediente sicuramente segreto e sommamente matematico.
Riporteremo dunque alcuni stralci resi in italiano da questo nostro confidente del quale riportiamo solo le iniziali S.A. per sua espressa e lodevole volontà d’anonimato:
«Nella nostra ultima età del ferro il mondo intero deve essere ritenuto morto e condannato, il tempo della gloria terrena s’avvolge al triste fine.
Già si compie l’oracolo: tremate!
Presto si vedrà il segno di un nastro nel cielo, che di rauco boato empie la terra.
La fiamma della folgore inestinguibile, arma del grande Zeus, pioverà giù dal cielo addosso a chi ha peccato contro un Dio benevolo ed i sepolcri saranno chiusi in un luogo di ombra con l’altezza di tre unità [...] lì, staccatasi dall’etere, una stella cadrà sulla terra lasciando il segno. È il principio di un mondo migliore, questa la prova del fuoco.
Sorgerà a primavera, quando il giorno allunga, il portatore d’acqua (Nota 8) , la furia rabbiosa dei venti sconvolgerà l’acque tranquille del Mare in un vortice di flutti e la terra verrà precipita su sé stessa percossa dal tridente del dio Nettuno.
Ogni cosa è precipitata nell’abisso senza fondo del suo ventre.
All’inizio ed alla fine del mondo tutto fu acqua e tutto diverrà acqua.
Infine, l’Uomo non produrrà più ombra ed il Sole raggiungerà il tetto eccelso del firmamento. Solo questo luogo verrà preservato, un’isoletta che dagli antichi è detta per nome Ortigia, terra promessa a voi, guerrieri eletti.
Solo i preferiti dal fato vivranno in eterno».
Lo stesso Solomon Trismosin, a proposito di questo paese fortunato e misterioso, il solo nel quale cresca l’albero della vita il cui frutto è stato promesso ai vincitori (cfr: Apocalisse 2,7), alcune pagine più avanti (rispetto alla citazione precedente) precisa:
«È la Pietra d’Amianto, il cerchio perfetto dove riposa a garanzia il luogo del magistero, è il principio della fine di tutta la nostra Scienza».
Che l’Adepto Fulcanelli abbia avuto la possibilità d’attingere a piene mani da questo libro sconosciuto ai più nella formulazione del suo terzo lavoro, Finis Gloriae Mundi (Fine della Gloria del Mondo) mai pubblicato per suo manifesto volere, a questo punto ci pare una possibilità assai verosimile e per questo meritevole d’essere presa in esame.
D’altronde lo stesso Fulcanelli ci parla, nel suo Il Mistero delle Cattedrali, di questo suolo di salvezza quando afferma:
«È scritto che la vita si rifugia in un sol luogo e apprendiamo che esiste un paese dove la morte non colpirà gli uomini nell’epoca terribile del duplice cataclisma. Per quanto riguarda la posizione geografica di questa terra promessa, da dove gli eletti assisteranno al ritorno dell’età dell’Oro sta a noi il cercarla. Perché gli eletti, figli di Elia, saranno salvati secondo la parola della Scrittura. Perché la loro fede profonda, la loro instancabile perseveranza nello sforzo, avranno fatto meritar loro d’essere innalzati al rango di discepoli del Cristo Luce. Ne porteranno il segno e riceveranno la missione di rinnovare per l’umanità rigenerata la catena delle tradizioni dell’umanità scomparsa.»
Ai coraggiosi inquisitori della Scienza viene lasciato il compito di scoprire questo paradiso terrestre, unica possibilità di redenzione offertaci in questa valle di lacrime, unico vero luogo preposto al riscatto del genere umano.
Il Marchese di Carabà
email: m.dicaraba@libero.it
L'industrie et le savoir-faire valent mieux que des biens acquis
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