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«Le onde sono quelle acque che Mosé, nel suo primo libro o la Genesi, definì superiori e che generano al di sotto la meteora infinitamente preziosa più di tutte le altre, denominata rugiada, che a sua volta veicola lo spirito o il sale armoniaco del cielo. Questo è isomero del nitro o se si vuole isotopo, per parlare il linguaggio che utilizzano gli attuali spagiristi. La serie delle operazioni si mostra interminabile oltre che laboriosa, fu dipinta, nei suoi piccoli dettagli, dall’anonimo Altus.»
Eugène Canseliet - Deux Logis alchimiques
Eugène Canseliet - Deux Logis alchimiques
La Quarta Tavola |
Il «Mutus Liber» o Libro Muto è, come si evince dal nome, un libro alchemico senza testo, senza parole. Si tratta in pratica di un opera composta da una serie di 15 tavole allegoriche rappresentanti vari processi della Grande Opera.
In verità questo trattato è privo di parole solo in apparenza... paradossalmente, infatti, il Mutus Liber è un testo loquace e generoso grazie alla sua grande ricchezza simbolica.
In effetti, il simbolo con la sua potenza evocativa e ancestrale è in grado di comunicare direttamente al cuore degli uomini bypassando la sovrastruttura razionale.
Certamente tra le tavole che compongono il Mutus, la Quarta è la più famosa in assoluto. Ciò non solo per la generosità di particolari interessanti ma anche perché, secondo alcuni, pare si tratti della «prima» seguendo l’ordine cronologico delle operazioni della scienza ermetica.
Giacché, come dice il proverbio, «chi ben inizia è a metà dell’Opera» cominceremo nel soffermarci ad ammirare propriamente questa Quarta Tavola.
Per far ciò abbiamo deciso di riportare i tre commenti più importanti e chiarificatori riguardanti l’incisione in oggetto. In questo modo si avrà a disposizione un importante strumento di studio che concentra molto del materiale attualmente disponibile in un’unica pagina.
Riporteremo i tre commenti in ordine temporale, dal più antico al più recente. Ecco qui di seguito delineato il nostro breve ma succulento elenco d’interpretazioni:
- Commento di Pierre Dujols (Le livre d’images sans paroles (Mutus Liber), Libraire critique Èmile Nourry, 1914. Cfr. L’Hypotypose par Magophon (Pierre Dujols de Valois))
- Commento di Eugène Canseliet (L’Alchimie et son Livre Muet, Réimpression premiére et intégrale de l’edition originale de La Rochelle 1677, Introduction et commentaires par Eugène Canseliety F.C.H. disciple de Fulcanelli, à Paris chez Jean-Jacques Pauvert, 1967)
- Commento di Jean Laplace (Altus, Mutus Liber, Reproduction des 15 planches en couleur d’un manuscript du XVIIIeme siècle, Introduction et commentaire par Jean Laplace, ed. Archè, Milano, 1979)
Inoltre ci siamo sforzati di mantenere i corsivi dei testi originali evidenziandoli ulteriormente con l’aggiunta del grassetto, ciò poiché riteniamo che gli autori qui presentati utilizzino spesso (ma non sempre) questo espediente grafico per indicare i passaggi più importanti.
Un ultima nota sul Mutus Liber: rileviamo che si conoscono tre edizioni di quest’opera, l’una leggermente diversa dall’altra.
La prima stampa risale al 1677 pubblicata a La Rochelle, la seconda è stata presentata dal Manget nella sua Bibliotheca Chemica Curiosa (1702) mentre la terza è un edizione ancora più recente e a colori. Jean Laplace, nel suo commento, fa riferimento a quest’ultima.
Riteniamo che, per uno studio proficuo, sarebbe bene considerare tutte e tre le edizioni nella loro interezza poiché un particolare poco visibile in una versione potrebbe essere più chiaro nell’altra e viceversa.
A questo punto non ci resta che augurare al gentile utente buon studio e buona lettura ricordando il celebre motto tratto dal nostro Libro Muto che afferma instancabilmente: «Ora Lege Lege Lege Relege labora et Invenies».
Il Marchese di Carabà
email: m.dicaraba@libero.it
L'industrie et le savoir-faire valent mieux que des biens acquis
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Commento di Pierre Dujols
La quarta tavola mostra come si opera la raccolta del flos cœli.
Dei panni sono tesi su pali per ricevere la rugiada celeste. In basso, un uomo ed una donna ne operano la torsione per estrarre il liquore divino, che cade in un grande vaso disposto a tale scopo.
A sinistra, si vede l’Ariete; a destra, il Toro.
Il flos cœli ha torturato lo spirito dei cattivi soffiatori.
Gli uni vi hanno visto una sorta di influsso magico, poiché per costoro, la magia è una potenza sovrannaturale acquisita dal concorso degli spiriti, buoni o malvagi. Altri, più realisti e vicini alla verità, vi hanno riconosciuto la rugiada mattutina.
Il flos cœli è chiamato, in effetti, l’acqua dei due equinozi, da cui si è dedotto che si ottiene in primavera ed in autunno ed è un miscuglio dei due fluidi.
Certuni, che si credono più accorti, andavano a raccogliere questo prodotto misterioso in una sorta di alga o lichenoide il cui nome volgare è nostoc.
Nel «Les Sept Nuances de L’Œuvre philosophique», Etteilla, che valeva forse più della sua reputazione, sembra aver ottenuto un certo risultato soddisfacente da una spuma analoga; ma occorre leggere il suo opuscolo con dei buoni occhiali.
I Rosa-Croce si chiamavano i Fratelli della Rugiada cotta, secondo la testimonianza di Thomas Corneille, buon ermetista così come suo fratello, il grande tragico.
Tuttavia, Filalete canzona sdegnosamente i raccoglitori di rugiada e di acque pluviali, nelle quali, ciò nonostante, l’abate di Valmont riconosce qualche virtù.
Al discepolo farsi un’opinione secondo il suo giudizio.
Ma è fuori di ogni dubbio che un agente tenuto segreto, detto «Manna Celeste», svolga un ruolo importante nel lavoro.
Noi dobbiamo dichiarare, in buona fede, che l’Ariete ed il Toro della tavola, che sono presi sempre per i segni dello Zodiaco sotto i quali si deve raccogliere il flos cœli, non hanno alcun rapporto con i simboli astrologici.
L’Ariete è l’Hermes Crioforo, che è lo stesso che Giove Ammone; ed il Toro, le cui corna disegnano la mezzaluna, attributo di Diana e di Iside, che si identificano con la vacca amante di Giove, è la Luna dei Filosofi.
Questi due animali personificano le due nature della Pietra. La loro unione forma l’Azim degli Egizi. L’Asimah della Bibbia, mostro ibrido designante l’oricalco, l’orice d’ottone (nel francese originale «laiton», n.d.c.) o di bronzo («airain», n.d.c.), il toro di Falaris o di bronzo, il vitello d’oro o di chrysocale [non è fuori luogo il ricordare qui che Helvetius ha scritto un trattato d’alchimia sotto il titolo di Vitulus aureus (il Vitello d’Oro)] che è diverso, certamente, dal similor di Mannheim e tiene un qualche tipo di mechior.
Infine, per farla breve, è l’elettro dei poeti; ma occorre ben intendere questa parola che contiene l’arcano magico.
Filalete insegna che l’oro degli ermetisti è, sino ad un certo punto, simile all’oro volgare. Noi aggiungeremo ancora che, secondo la Mitologia, la pietra divorata da Saturno era chiamata betulus, che è, in pratica, la stessa parola che vitelus, nome latino del vitello, e che vitellus è il tuorlo dell’uovo.
Il pane degli azzimi ne era il geroglifico. I sacerdoti delle sponde del Nilo non toccavano mai i pani del sacrificio con uno strumento affilato d’acciaio o di ferro: essi ne facevano un caso di sacrilegio. Da qui l’antico costume, ancora in uso, di spezzare il pane. Inoltre, nel rito cattolico, l’officiante divide l’ostia con la patena vermiglia. Tutta questa logomachia nasconde il vermiglione dei Saggi o l’amalgama filosofica del mercurio, dell’oro e dell’argento dell’arte, resa indissolubile dal flos cœli.
Si apprenderà, non senza sorpresa, che le corse dei tori sono una figurazione drammatica della Grande Opera. Tutti i giochi hanno un’origine ermetica. La coccarda rossa che porta l’animale, ed alla quale è attaccato un premio accordato al vincitore, è l’immagine della Rosa dei filosofi. La grossa faccenda, è l’essere un buon Matador. Inoltre, secondo la tradizione spagnola, «per avere accesso al Governo, occorre trionfare sul toro» - il toro mistico, evidentemente.
Questa vittoria conferiva la «cavalleria», la vera nobiltà, quella della Scienza, e di conseguenza lo scettro. È per questo che, sotto Luigi XIII, i capi della Kabbala di Stato erano soprannominati i «Matadors». La specie non è affatto estinta, ma ben eclissata ed inosservata.
Commento di Eugène Canseliet
La quarta stampa rivela, positivamente, uno dei più grandi arcani dell’opera fisica. L’influsso cosmico, in un immenso ventaglio di fasci diritti, alternativamente striati e picchiettati, cadono, dal centro del cielo, da un punto che si situa tra il sole e la luna.
Non c’è autore che abbia indicato, così sinceramente, l’agente principale del movimento e delle trasformazioni sulla superficie, come nel centro della terra.
E’ precisamente questo l’intervento del siffatto agente cosmico, che differenzia l’alchimia dalla chimica orgogliosamente empirica e parallela.
Il segreto si mostra a questo punto così importante che Magophon fece senza dubbio uno sforzo molto grande contro se stesso per dissimularlo, nel momento in cui scrisse queste righe tuttavia molto significative:
«Senza il concorso del cielo, il lavoro dell’uomo è inutile. Non si innestano gli alberi ne si semina il grano in ogni stagione. Ogni cosa a suo tempo. Non per nulla l’Opera filosofale è chiamata l’Agricoltura Celeste; uno dei più grandi autori ha firmato i suoi scritti con il nome di Agricola, e due altri adepti eccellenti sono conosciuti con i nomi di Grande Paesano e Piccolo Paesano»
Eh bene! sì, l’ariete e il toro dell’immagine, sulla quale ci chiniamo al presente, corrispondono ai due segni zodiacali, vale a dire ai mesi primaverili durante i quali l’operazione, avente lo scopo di raccogliere il fiore del cielo, è compiuta esattamente tale com’essa si trova determinata in questo luogo.
Alla maniera dei vecchi maestri, Pierre Dujols non esitò allora a mostrarsi invidioso, spingendo così il suo lettore, in una lunga tirata che qualificò egli stesso come logomachia, non appena ebbe pronunciata questa frase ambigua:
«Dobbiamo dichiarare, in buona fede, che l’Ariete e il Toro della tavola, che vengono presi sempre per i segni dello Zodiaco, sotto i quali si deve raccogliere il flos cœli, non hanno alcun rapporto con i simboli astrologici.»
Si comprenderà facilmente che è esattamente la rugiada, e non un’altra cosa, che il sapiente Jacob Sulat ci propone di raccogliere, e che sarebbe vano filosofeggiare troppo sottilmente su una figura dalla sincerità quasi ingenua, con l’idea che essa costituisca un astrusa allegoria.
Si tratta, senza falsificazione, della maniera semplice che abbiamo, noi stessi, all’inizio utilizzata, non molto meno di un mezzo secolo fa, salvo la differenza quanto l’istallazione di questi pezzi di stoffa su dei paletti. Sistema che può spiegare, nel paesaggio di Altus, la secchezza del terreno, sebbene, secondo un medico inglese, ogni sostanza posta sopra del suolo «acquisterà più rugiada durante una notte ben calma, che una sostanza simile posta sull’erba» (Nota 1)
Da molto noi operiamo differentemente, portando a spasso, di preferenza sui cereali verdi, sui trifogli, l’erba medica e il fieno santo, una tela di lino, prima, più volte e accuratamente, sciacquata nell’acqua di pioggia.
E’ importante, certamente, che alcun sale della liscivia e del candeggiante si dissolva, per quanto poco possa essere, nel liquore generoso che verrà assorbito.
Parimenti si dovrà temere che il vegetale portatore non sia stato malauguratamente cosparso o asperso con un qualsiasi concime.
L’esercizio è banale e consiste nel torcere in seguito il tessuto imbibito sino alla saturazione, al fine di spremerne e raccoglierne la rugiada, come fanno l’uomo e la donna che abbiamo visto in preghiera sulla seconda tavola.
Attorno ai due operatori, il suolo è nudo, invece, nel Manget, nutre delle piante che si stendono sulla terra in larghe foglie.
La tentazione è grande di pensare che questi vegetali, appiattiti in pozzanghere singolari, traducano il nostoc di cui si parla sovente, a proposito dell’alchimia, e che era facile trovare ancora poco tempo fa, prima che gli sconvolgimenti della natura lo avessero quasi fatto svanire.
Quanto a quest’alga che è designata da numerose espressioni popolari – vox populi, vox Dei – ad esempio burro magico, sputo di luna, grasso di rugiada, fiore del cielo, schiuma di primavera, ecc., citiamo ciò che osservò Fulcanelli, davanti al quadrilobo del portico della Vergine, nella cattedrale di Amiens, e che potrebbe ben non essere stato, esattamente, il suo reale sentire:
«E’ questo, crediamo, il luogo per rettificare certi errori commessi a proposito di un vegetale simbolico, il quale, preso alla lettera da alcuni soffiatori ignoranti, contribuì fortemente a gettare il discredito sull’alchimia ed il ridicolo sui suoi partigiani. Vogliamo parlare del Nostoc.
Questa crittogama, che conoscono tutti i contadini, si incontra dappertutto nella campagna, tanto sull’erba, quanto sul suolo nudo, nei campi, ai bordi dei sentieri, ai margini dei boschi. Di buon mattino, in primavera, se ne trovano di voluminose, gonfie di rugiada notturna. Gelatinose e tremolanti, – da qui il loro nome di tremelle, – sono più sovente verdastre e si disseccano cosi rapidamente, sotto l’azione dei raggi solari, che diventa impossibile il trovarne traccia nello stesso luogo dove esse erano distese qualche ora prima.» (Nota 2)
Abbiamo detto e lo ripetiamo che l’autore del Mutus Liber dette prova di carità e di sincerità semplicemente incredibili e abbondanti. Sarebbe mai stato possibile esprimere, con altrettanta chiarezza e forza, la sorgente e la natura dell’agente cosmico e universale che gli antichi alchimisti dichiaravano anche essere la loro materia prima?
E’ certo che il piccolo bassorilievo della Notre-Dame piccarda (Nota 3: Ibidem, p.170) offre la medesima cascata fluidica e torrenziale di quella nell’incisione di Altus, tuttavia con questa differenza, che l’alchimista medievale appare solitario e rabbrividito nell’estasi, tanto quanto la coppia del nostro Libro Muto si mostra occupata nella più totale utilizzazione.
La rugiada dei Saggi raffigurata su un
quadrilobo della Cattedrale D’Amiens
con un alchimista in estasi per il
prodigioso fenomeno di condensazione
Per l’Adepto Fulcanelli, è per analogia che gli autori, che i Filosofi scelsero il nostoc, affinché essi potessero parlare più liberamente del soggetto minerale dei loro lavori filosofici, e affinché fosse loro possibile, senza il pericolo di spergiuro, presentare la loro magnesia che assorbe lo spirito universale, come la calamita attira il ferro, vale a dire il verde, dal punto di vista cabalistico.
Ireneo Filalete non pensa differentemente, quando esplode in imprecazioni contro gli spagiristi e si burla del loro uso delle acque direttamente cadute dal cielo:
«Preparate le vostre acque di pioggia, di maggio, i vostri sali... credete che sono afflitto dalla tristezza, per i vostri discorsi ridicoli!» (Nota 4)
E’ ben evidente che in questo momento, l’autore del tanto reputato Introitus considera, alla maniera di Fulcanelli, il corpo misterioso che egli indica come il primo in similitudine con il magnes:
«Così come l’Acciaio è attirato verso la Calamita e la Calamita spontaneamente si volge verso l’Acciaio; così la Calamita dei saggi attira il loro Acciaio.» (Nota 5)
Apparentemente più astruso, de Cyrano Bergerac sottolinea, per allegoria, la virtù di sublimazione che detiene la rugiada. Con la testa piena di mille definizioni di luna, «che non poteva partorire», il filosofo, rifugiato in campagna in una dimora ritirata, procede nel suo curioso tentativo:
«Mi ero attaccato tutto attorno a me una quantità di fiale piene di rugiada, ed il calore del sole che le attirava mi elevò così in alto che alla fine mi trovai al di sopra delle più alte nubi» (Les Estats et Empires de la Lune)
Sotto l’effetto del calore applicato con saggezza, grazie al suo nitro sottile, la rugiada eleva e nobilita qualsiasi sale e, preferibilmente, quelli che la natura ha riservato per la Grande Opera. In compagnia di questa coppia di fondenti salini, la notturna condensazione subisce l’azione facilmente e senza danno; è qui che risiede la segreta ragione per la quale i membri della Rosa–Croce si chiamavano fra loro i fratelli della Rugiada–Cotta. (Nota 6)
In una sorprendente connessione, ecco il passaggio del Journal de Scavans, il cui autore mostra delle conoscenze molto al di sopra del livello ordinario, nel momento in cui esamina la rugiada celeste, impregnata di fuoco fisso e di sale solare:
La croce di Lorena su una delle guglie
del paesaggio sulla parte destra
nella IVa tavola del Mutus Liber
nell’edizione del Manget (Bibliotheca
Chemica Curiosa - 1702)
«Quando questo sale solare che non è altro che un nitro ben purificato concentrato e pietrificato con un abile preparazione, esso assimila la luce e diventa un piccolo sole artificiale. Può essere che è quel fuoco perpetuo delle Urne degli antichi, così celebre nell’Antichità e così ricercato dai moderni...
Questo stesso sale essendo debitamente ridotto in liquore diviene l’Alcaest o dissolvente universale tanto nascosto dai maestri dell’Arte: così l’esperienza fa vedere che il sale volatile della rugiada di Maggio dissolve l’oro così facilmente quanto l’acqua calda dissolve il ghiaccio».
L’Adepto anonimo, del Mistero della Croce, scritto nella solitudine di Sonnenstein, «il 12 agosto del 1732», versificò in fine del suo Piccolo Giardino Sacro (Hortulus Sacer), che, fra le tre Medicine non volgari (Triplex Medicina non Vulgaris), il Sofico verde dell’aria dà la prima che, in essa, ha i suoi fuochi – Dat primam Sophicum viride aeris... In se prima suos igneas habet –; che la seconda trae a sé le virtù del cielo, sull’esempio della calamita – altera virtutes Cœli, magnetis adinstar attrahit –; che la terza infine:
E del Cielo e della Terra congiunge le forze,
Irrorando, con la rugiada del Cielo, il sale del mare.
Et Cœli et Terræ conjungit tertia vires:
Æquoreum, Cœli rore, rigando salem.
L’investigatore attento avrà certamente distinto, in cima alla guglia appuntita, che scaturisce dal paesaggio a destra, la croce di Lorena, simbolo della cenere o di questa polvere salina della quale gli autori sono unanimi nel dire che non dovrà essere trascurata:
«O quanto preziosa è questa cenere ai figli della dottrina, e quanto è prezioso ciò che viene da essa!»
«O quàm preciosus est cinis iste filiis docrinæ, & quàm preciosum est quod ex eo fit!» (da Aziratus nella Turba dei Filosofi)
Lo schema è più preciso sull’incisione di Manget, che, inoltre, l’ha posto sul cerchio simbolizzante il soggetto iniziale.
Commento di Jean Laplace
Il colore apporta un qualche splendore alla scena di questa quarta tavola che apre una serie di tre, essendo le altre due la 9 e la 12.
Un dettaglio che non appare che nell’edizione di La Rochelle, ci permette di controllare l’ordine successivo di queste tre immagini.
Le tre lune della IVa, IXa e XIIa tavola
del Mutus Liber della splendida edizione di
La Rochelle (1677) sono messe a confronto
in questo montaggio fotografico.
È banale constatare che noi assistiamo qui alla raccolta della rugiada. Il fluido che discende nel triangolo igneo tra il sole e la luna, porta, sulle immagini in bianco e nero, il messaggio araldico di ciò che possiamo qui ammirare nel colore: l’oro e il rosso.
L’influsso generato dai due luminari cade all’orizzonte sulla terra; l’acqua raccolta dalla coppia di alchimisti scola, essa, in un semplice recipiente. Ci sembra bene consigliare all’Amatore di guardare attentamente questa scena di strizzatura nelle edizioni di Manget e di La Rochelle; egli vi troverà un’indicazione, che qui non è riprodotta, che ha molto valore conseguente.
L’ariete e il toro, in ciascun lato dei cinque teli recettori della rugiada, rappresentano le stagioni zodiacali proprie all’opera, tuttavia essi possiedono anche la loro corrispondenza terrestre che sono solforosa e mercuriale.
Nella disposizione di questa tavola, noi possiamo osservare l’espressione dei tre piani della creazione: il superiore, il medio, l’inferiore, vale a dire il sole e la luna, l’ariete e il toro, il maschio e la femmina.
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