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«Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria puntati nei nostri pieni di lacrime.»
Sant’Agostino
Sant’Agostino
Halloween Milan Tour 2013 |
Incontro in Piazza San Babila, di fronte alla chiesa, ore 10:00
Un tempo, la Basilica di San Babila troneggiava sul crocicchio dove, fino al Medioevo, sostavano i mercanti e le merci prima di entrare in città. Solo negli anni Trenta si decise di trasformare lo slargo, ormai inutilizzato, nell’attuale piazza e fu così che l’antica chiesa finì quasi soffocata dai palazzi che si ergono intorno come grottesche «torri di Babele».
San Babila sorge su un antico luogo di culto pagano, il Tempio dedicato ad Apollo e, molto probabilmente, la cosa non è casuale. Infatti, la prima chiesa in onore di San Babila fu fatta erigere dal caesar Costanzo Gallo, nel sobborgo di Dafne per stroncare il culto del Dio Apollo e far tacere il suo oracolo.
Il culto del santo è di origine siriana e non è da escludere un suo collegamento con Mitra, divinità orientale del Sole, il cui culto si affermò in Occidente attraverso la cultura Greco-romana.
A metà della navata destra, in direzione Nord,
campeggia un magnifico mosaico raffigurante
Gesù e i santi milanesi, mentre di rimpetto
brilla un mosaico della Madonna attorniata
dalle sante
Il grado più alto dell’iniziazione corrispondeva al Pater, cioè a «Padre», che si distingueva dal resto degli adepti indossando un berretto frigio di colore rosso e un paio di pantaloni dello stesso colore. Egli era la rappresentazione di Mitra in terra com’era simboleggiato dal bastone ricurvo che brandiva, vi ricorda qualcuno? Tombola! Un vescovo.
In origine anche il culto cristiano era misterico, e poiché i punti in comune con il mitraismo erano molti, non fu difficile sostituire con un vescovo cristiano la figura di Mitra, simbolo del Sole folgorante, della giustizia, dio garante dei patti e degli accordi elargitore di abbondanza e felicità sull’umanità.
Anche Babila è un garante dei patti, dell’onestà e giustizia. Secondo la leggenda, fu condannato per lesa maestà e decapitato (come il toro di Mitra). Un re straniero aveva lasciato in ostaggio all’Imperatore d’Antiochia Decio il proprio figlio solo dopo aver ottenuto la promessa che il ragazzo sarebbe stato trattato da Decio come un figlio, invece, l’imperatore uccise il rampollo senza alcuna pietà.
Indignato, Babila denunciò l’imperatore durante la messa e gli intimò di abbandonare il posto d’onore e seguire la santa messa insieme ai penitenti.
Sebbene non sia attestato in nessun documento, io credo che questa piccola basilica di mattoni rossi e marmo bianco sia il simbolo del sole sorgente, benefico e dispensatore di ricchezze, infatti, il suo interno è decorato da magnifici mosaici d’oro, metallo simbolo, appunto, del sole.
Nel XVI secolo di fronte alla chiesa fu eretta una colonna in cima alla quale è posto un leone. Il pensiero comune direbbe che si tratta solo di una coincidenza ma noi non siamo persone comuni, sappiamo che il caso non esiste.
Il Leone corrisponde al quarto grado dell’iniziazione nel culto di Mitra, il gradino per entrare nella «porta dell’Oltre», del non commensurabile. Per questo motivo ho voluto cominciare il viaggio attraverso la Milano misteriosa da qui, perché, passando davanti al leone possiamo tutti intraprendere simbolicamente un viaggio iniziatico nel regno dello spirito.
Alle spalle del Duomo, via Laghetto, il Verziere e...
Oltrepassata la colonna del leone, ci troviamo nella Milano lunare, nascosta, misteriosa, stregata. La Milano che tradisce i secoli che sono la sua vera età, nonostante il belletto della Rinascente e le minigonne di Via Montenapoleone.
Alle spalle del Duomo vi è un intrico di viuzze anonime, poco frequentate e interrotte da crocicchi ingombri di tram. Si tratta della Milano Medievale, o quel che ne rimane.
Come la sua sorella maggiore Notre Dame, anche il Duomo, dunque aveva alle sue spalle una corte dei miracoli socialmente organizzata con le sue guardie e le sue sacerdotesse, le streghe, che, pare, avessero il loro quartiere operativo proprio al Verziere.
Di giorno al mercato incontravano i committenti, servi di nobiluomini e nobildonne che chiedevano loro di allacciare il cuore di qualcuno, oppure di vendicare i torti subiti da qualche amante, ma anche protezione contro il malocchio o la sfortuna, unguenti per la bellezza, filtri per la virilità e tutto quanto una strega poteva offrire. Di notte, il Verziere era il luogo dei sortilegi, delle evocazioni, dei raduni.
Nel 1580, in piena Controriforma bigotta e beghina si tentò di scacciare le streghe dal verziere e dal Laghetto. Alcuni ipotizzano addirittura che la colonna del redentore, posta in Largo Augusto, proprio al centro del Verziere, non fosse un ex voto per scongiurare una delle tante pesti che afflissero Milano bensì una sorta di anti-menhir, in altre parole un luogo che disperdesse quelle energie magiche che tanto attraevano le figlie di Diana. Ma le streghe, sembra siano scomparse alla vista ma non di fatto. C’è chi racconta che in questi vicoli abiti ancora qualche mago e qualche fattucchiera, disposto a chi riesce a trovarlo, a prestare qualcuno dei suoi preziosi servigi.
Si narra che queste streghe avessero un capo, anzi, una «capa». Il nome di questa strega è sconosciuto, in compenso se ne conosce l’indirizzo: Via Laghetto, n. 2 nella «Ca’ di tencitt», la casa dei carbonai o anche degli sporchi (Nota 1).
La Madonna dei Tencitt, scatto
di Giovanni dall’Orto – il sole
deve aver scolorito l’affresco.
Se si aggiunge che la protezione
in plexiglass si è sporcata negli
anni è facile immaginare i motivi
che rendono difficilissimo
riconoscerla e fotografarla.
Nel 1438 i lavori per la costruzione del Duomo procedevano a passo di lumaca. Per accelerare l’edificazione della cattedrale, l’amministrazione pubblica decise di aprire un piccolo lago alimentato dalle acque della fossa interna dei Navigli. In quel modo gli enormi massi di marmo rosa sarebbero stati scaricati vicino le impalcature.
In realtà, il lago era un’enorme pozza senza sbocchi, nella quale finivano tutti gli scarichi delle case vicine e nella quale erano lavati il carbone e il marmo oltre che buttata ogni tipo d’immondizia. Così la zona del laghetto divenne famosa perché puzzolente e sporca.
In via Laghetto abitavano i facchini addetti al carico e scarico delle merci: fra cui, anche il carbone, che li tingeva di nero. La gente li chiamava «i tencitt del Laghett».
Oggi del «laghetto» non rimane nulla, negli anni ’50 fu definitivamente e completamente ricoperto e oggi le auto sostano lì dove un tempo c’era la sua maleodorante pozza. La ca’ di tencitt, invece, esiste ancora sebbene oggi sia la famosa «Osteria Piemontese» e conservi come unico segno del suo passato l’affresco raffigurante la «Madonna de Tencitt», la cui storia, sebbene cristiana, aggiunge la luce del miracolo alla sfolgorante oscurità stregonesca.
Nel XVII secolo non era più necessario usare il laghetto per scaricare gli enormi blocchi di marmo rosa, tuttavia, questo continuò a essere un porticciolo per una miriade di merci che giungevano in città dal Ticino e viaggiavano attraverso il Naviglio grande. Così, di fronte al laghetto continuarono ad abitare i Tencitt.
Nel 1630 le streghe avevano ormai abbandonato il Verziere e la Ca di Tencitt era sprovvista di protezione femminile così, quando la peste travolse Milano, colpì anche l’abate della corporazione dei Carbonai, il quale, tuttavia non solo si salvò dopo essersi raccomandato alla vergine ma vide salva l’intera via Laghetto! Per ringraziare la santa Dama, l’abate commissionò l’affresco a un anonimo.
Quando anche i carbonai abbandonarono la casa, il dipinto fu quasi dimenticato. Rimase seminascosto sotto delle ante di legno che erano aperte solo il giorno di Ferragosto per la festività dell’Assunta, fino a quando il genio femminile non tutelò un’altra vita.
Accadde nel 1989, un avvocato che abitava in zona si salvò miracolosamente dai postumi di un incidente. Riconoscente alla vergine, l’uomo si fece carico del suo restauro e di rendere l’affresco visibile a tutti perché la «madonna de tencitt» potesse continuare a vegliare sul quartiere e accogliere le preghiere di chiunque la visitasse.
Via Santa Radegonda
La Madonnina ammicca illuminata dal sole e noi c’incamminiamo verso la cattedrale percorrendo parte della via sulla quale venivano trascinati i pesanti marmi rosa utilizzati per la sua costruzione, ci dirigiamo quindi, in Via Santa Radegonda per porgere i nostri omaggi a un fantasma che fu molto amato dal popolo milanese e del quale chissà, qualcuno si ricorda ancora, Bernarda Visconti.
Figlia illegittima del crudelissimo Bernabò Visconti e della popolana Giovannola, Bernarda è ricordata come una fanciulla procace, rotondetta e molto graziosa. Si racconta che il roseo volto fosse reso impertinente dal naso aquilino e avvenente dai riccioli color miele che lo incorniciavano morbidamente secondo la moda dell’epoca. Crebbe senza sua madre, scacciata dalla corte per aver tradito Bernabò con il capitano generale di Milano, Pandolfo Malatesta, ma non le mancarono vizi e affetti ed ella crebbe solare, allegra e incauta proprio come sua madre. Fu forse proprio questa somiglianza a stimolare nel Visconti un affetto fortissimo verso la piccina che divenne presto la sua preferita.
Giunta alla maturità dei quattordici anni Bernarda fu data in sposa al condottiero Giovanni Suardo, bergamasco, assicurando così un’ottima alleanza al padre. Il matrimonio fruttò a Bernarda ben poco piacere e così, con il beneplacito di Bernabò trascorreva a Milano quanto più tempo possibile e fu in una delle visite alla corte paterna che conobbe l’amore.
S’innamorò di Antonio Zotta, un cavaliere bello, simpatico, sportivo, il miglior giostratore del tempo e il rubacuori più ambito di Milano. Anche Antonio s’innamorò e non si sa quanto durò la loro felicità ma una notte, uno degli uomini Bernabò accompagnò il suo signore nella camera di Bernarda, che fu trovata in flagrante adulterio, l’ira che travolse lei e Antonio fu sconvolgente, addirittura inspiegabile. All’epoca, la pena prevista per gli adulteri, in caso di rapporto consenziente, era di una lieve multa, cosicché per placare la sua sete di sangue il duca di Milano accusò Antonio di furto che sotto tortura confessò guadagnandosi l’impiccagione. Per le adultere le leggi erano ovviamente molto più severe, era prevista la pena capitale in piazza ma se l’orgoglio impedì a Bernabò di esporre sua figlia al dileggio delle canaglie l’ira gli suggerì di farla torturare con secchiate di acqua gelida in pieno gennaio e poi frustare prima di essere rinchiusa nel carcere di Porta Nuova, condannata a morire d’inedia.
Le cronache dell’epoca attestano che la vita abbandonò il martoriato corpo di Bernarda, ridotta a uno scheletro cencioso, dopo sette mesi di agonia.
Irene Bimbasperduta racconta la storia di
Bernarda Visconti al gruppo riunito in via
Santa Radegonda (foto di Ersilia Romano)
Finalmente, nel 1424, a Dalmine, presso Bergamo, Bernarda compare davanti a diversi notai, riconosciuta dai parenti presenti, cede ai fratelli i beni immobili avuti dal Suardo, per ottomila fiorini e, ricevutili, sparisce per sempre dalla vita dei Visconti ma non del popolo che deve essersi identificato nelle sue avventure e sventure considerandola, in fondo, un pò anche figlia sua essendo per metà popolana come Giovannola.
Fino al 1883, Via S. Radegonda era, in realtà un imponente convento le cui suore, non strette a voti di clausura, erano dedite al bel canto.
Pare che le sorelle possedessero doti canore tali che da ogni angolo di Milano la gente accorreva ad ascoltarle presso le mura del convento e accadeva spesso che qualche suorina fosse invitata dalle nobili dame a esibirsi nel suo salotto.
Bernarda amava immensamente il Convento di Santa Radegonda e la voce di popolo ha dichiarato che, vendicatasi dei torti subiti abbia preso l’abitudine di passeggiare qui, nei pressi del convento per ascoltare i canti angelici della sua migliore gioventù. Come deve sentirsi spaesata, quell’anima affranta, nella cacofonia esasperata che caratterizza oggi la via. Chissà se nel suo trans di ricordi non riesca ancora, nonostante il tumulto, a vedere il suo amato convento e trovare un po’ di sollievo o forse è riuscita a trovar la strada per tornare a casa ed è fra le braccia del suo Antonio, lontana dal freddo, dalla fame e dal rumore.
Piazza Duomo
Via Santa Radegonda sfocia in Piazza Duomo. Il rumore della folla s’infrange sulle fiancate della Cattedrale che solca Milano, come un enorme veliero. Attraversiamo e raggiungiamo la poppa della «Cattedrale del Diavolo».
Sì, avete sentito bene, perché si racconta che il Duomo sia stato costruito su espressa richiesta di Belzebù. Come vuole la tradizione letteraria, la vicenda accadde in una buia e tempestosa notte d’inverno, nel 1386.
Gian Galeazzo Visconti si apprestava a prepararsi per la notte, nella sua camera rischiarata da tremule torce, quando il Diavolo emerse dalla sponda del suo letto in un balenio di frecce di fuoco e zolfo.
«Voglio la mia cattedrale!» - ruggì l’oscuro principe «che sia bene ornata di diavoli e satiri, e grifoni e ircocervi e altri mille mostri e creature della mia corte! Se non sarò obbedito, tornerò da te e ingoierò la tua misera anima!» - E in una nube accecante e odorosa di zolfo scomparve.
Il povero Galeazzo passò una notte tremenda, dilaniato dal peso della promessa che, nella paura, anzi nel terrore del momento, aveva fatta.
Quale maledizione doveva egli scagliare sulla sua Milano! Dare in pasto al diavolo il cuore, l’anima dei milanesi per tutti i secoli a venire per salvar la sua anima! Il buon Visconti superò la crisi e pochi giorni dopo, quando incontrò l’Arcivescovo Antonio da Salluzzo, stabilì dei precisi accordi per avviare quei lavori di costruzione che, fra aggiustamenti e restauri, continuano ancora oggi.
La cattedrale fu dotata di molte figure terrificanti fra cui 96 doccioni dalle fattezze mostruose e persino nell’ultimo portone, ultimato negli anni ’60 del secolo scorso, sono presenti demoni e simboli che ai profani sembrano provenire direttamente dal Diavolo.
Ma occhi più acuti sanno che quei mostri, lungi dall’esser demoni spaventosi, sono guardiani di un tesoro arcano e di ben altro splendore di quello che elargisce Lucifero ma questo lo scopriremo a Maggio, nella prima sizigia lunare temperata (Nota 2), quando visiteremo il Duomo dalla cima ai sotterranei.
Ora è tempo, signori e signore, i Tridui ci attendono in piazza Missori per ben altri fenomeni atmosferici.
I Tridui in Piazza Missori
Piazza Missori, conserva oggi ben poco della fisionomia di una piazza. Lungi dall’essere un punto d’incontro circondato da strade per vetture, è più un mare di traffico nel quale sopravvivono faraglioni pedonali.
San Giovanni in Conca era una delle chiese più
antiche di Milano, purtroppo oggi, di quel raro
gioiello d’architettura resta solo un moncone.
(foto di Ersilia Romano)
Oh Milano! Specchio Lunare che nel moto incessante delle tue onde trascini via te stessa e i tuoi migliori gioielli nel moto perpetuo della tua signora celeste, nell’esasperante ricerca dell’eterna giovinezza.
Così, come una dama toppo distratta lascia dietro di se le tracce degli splendori della sua notte, brandelli di sete e luccichii di pietre perdute, tu, bianca e mutevole signora, lasci per strada indizi di una solennità che oggi pare solo sognata e di una magia che ci sembra uno scherzo (Nota 3).
Non lasciatevi, infatti, ingannare della modernità dei palazzi, ci troviamo in uno dei luoghi più antichi di Milano, nei quali erano celebrate cerimonie fin dalla notte dei tempi che la tradizione non si smentì neppure durante il Medioevo, quando, in periodi di siccità davanti sul sacrato della chiesa erano intonati dai sacerdoti e dagli alti prelati i tridui per la pioggia.
Fin qui non vi sarebbe nulla di strano, il triduo è un ciclo di atti di preghiera che dura tre giorni, nell’anno liturgico cristiano, il più famoso è quello che precede la Pasqua e cioè i giorni di Giovedì, Venerdì e Sabato santi, ma ve ne sono altri disseminati in paesi, parrocchie e pratiche spirituali. Ciò che rende i tridui della pioggia «speciali» è che i canti intonati per implorare il temporale erano eseguiti a ritmo di tamburi, in cerchio, come selvaggi pagani, intorno ad un pentolone pieno di zuppa che bolliva sopra un falò.
Se il triduo non sembrava funzionare gli alti prelati erano spruzzati con il brodo mentre danzavano e cantavano scossi da ritmi quasi tribali.
Questa cerimonia ricorda molto i riti celtici, in particolare quelli legati Samhain, la festività che segnava la fine della stagione del raccolto e dell’anno e l’inizio di un nuovo ciclo. Non dimentichiamo che la cripta di San Giovanni in Conca è uno degli ingressi ai sotterranei di Milano, un intrico di cunicoli, vie, piazze, rovine di templi e altre aree archeologiche sepolte dalla terra e dagli uomini.
Usate, nel corso dei secoli, come nascondiglio da ladri e furfanti ma anche come rifugio prima dai cristiani perseguitati dai pagani e poi, dai pagani perseguitati dai cristiani in un’altalena di fede e potere che forse non avrà mai fine, perché dopo vi furono gli eretici, gli assassini, i ricercati e persino gli adoratori di satana!
Oggi, a parte i turisti, i visitatori del sottosuolo milanese sono, sopratutto i Gost Hunters, i cacciatori di fantasmi, che imbragati di attrezzature per rilevare energie invisibili cercano le anime intrappolate in questa città sommersa.
D’altra parte, la leggenda vuole che proprio nella cripta di San Giovanni in Conca, durante i primi secoli della chiesa cattolica, fossero celebrati clandestinamente i riti mitraici. Non vi sono purtroppo prove certe di tali celebrazioni, anzi, i volontari del Touring club di Milano, che attualmente gestiscono la cripta, negano energicamente tale possibilità.
Esistono però almeno due indizi a favore di questa tesi. Su una delle pareti della cripta, persiste, sebbene ormai ridotta a una filigrana, un affresco che ritrae un Dio nelle tipiche fattezze di Mithra. E’ stato inoltre ritrovato un busto, ora custodito al Museo archeologico cittadino, che riproduce l’aspetto del Dio persiano, con un braccio avvolto da un serpente.
Sebbene manchino prove inconfutabili come la presenza degli altri attributi iconografici di Mithra (il toro, lo scorpione e il cane), è plausibile che il luogo fosse ritenuto sacro già molto tempo prima del cristianesimo e che diversi culti si siano sovrapposti nel tempo magari convivendo per alcuni periodi, infatti, nell’area di San Giovanni Conca sono stati rinvenuti resti di uomini che passarono o abitarono sul suolo milanese qualcosa come quattro o cinquemila anni fa.
La chiesa, della quale purtroppo rimane solo un moncone, ha origini paleocristiane e inizialmente era una basilica, in seguito ristrutturata in stile gotico. Era decorata con bellissimi affreschi, oggi conservati nel museo del Castello.
Il tempio piacque talmente ai Visconti che nel IV secolo la inglobarono nel recinto della loro dimora la cosiddetta «Ca’ di Can» facendone la propria cappella gentilizia.
Qui, tra le pareti sontuosamente affrescate, trovarono sepoltura nel 1384 la Regina Beatrice della Scala e l’anno dopo il marito, Bernabò Visconti, avvelenato a Trezzo d’Adda dal nipote Gian Galeazzo.
Nel 1805 fu sconsacrata da Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e ridotta a granaio da Napoleone. Col passare degli anni, il destino del glorioso tempio peggiorò, nel 1884 fu tagliata a metà, per fare spazio ai tram e alle carrozze, la porzione posteriore, con la facciata appiccicata davanti fu ceduta a Valdesi ma il peggio doveva ancora venire.
Nel 1945, poiché i bombardamenti avevano lasciata incompiuta la devastazione del centro storico il comune pensò di sfrattare i Valdasi e abbattere la chiesa per far circolare meglio auto, tram e filobus.
Solo quando dell’edificio non restò che il dente cariato che ammiriamo ora, qualcuno alla Soprintendenza si ricordò della cripta e ordinò che i lavori di smantellamento cessassero immediatamente.
L’energia del luogo
Questo luogo conserva ancora energie potenti? E’ ancora un luogo privilegiato per instaurare un rapporto con le entità spirituali e con i loro mondi? Le pietre rimasta conservano memoria di ciò che furono?
Prima di andare a pranzo ci piacerebbe molto scoprirlo, per questo procederemo a qualche rilevamento con il pendolo e, dopo, allo stesso esperimento svolto nell’estate del 2012 presso il Dolmen di Giurdignano.
Attraverso i suoi rilevamenti con il pendolo il Marchese di Carabà ha individuato il punto di maggior energia al limite dell’abside, o meglio di quel che ne rimane, in corrispondenza della finestrella sospesa nel muro.
Ci disponiamo in cerchio, prendendoci per mano e rivolti al centro chiudiamo gli occhi restando in ascolto. L’energia non è forte come quella del Dolmen di Giurdignano, non ci troviamo in presenza di una «porta», tuttavia, quando riapriamo gli occhi, siamo tutti concordi nell’aver avvertito in mezzo a noi un energia densa e calda, alcuni l’hanno descritta come una sorta di «falò». Ma ormai è tardi e la fame impone di andare a pranzo e poi, volare a Sant’Ambrogio.
Sant’Ambrogio
La colonna del diavolo, in basso
sono ancora ben visibili i due fori
che, secondo la leggenda, sono
stati lasciati dalle corna del Diavolo.
Questo, infatti, è il Sancta Sanctorum di Milano, luogo sacro da tempo immemorabile.
Se San Babila poggia su un Tempio dedicato ad Apollo, Divinità luminosa e solare, Sant’Ambrogio poggia su un antico cimitero pagano, simbolo dell’oscurità e del mistero della Morte.
Alle tombe pagane, si affiancarono, con il tempo, quelle cristiane e chiese più piccole, in seguito distrutte e sulle quali fu eretta la presente Basilica che presenta misteri, codici simbolici e luoghi «magici» praticamente in ogni suo angolo.
La presenza del cimitero deve essere rimasta scolpita nella memoria del popolo meneghino, sebbene solo a livello inconscio poiché si pensava che proprio sulla sinistra della Basilica si trovasse uno degli ingressi al regno del Diavolo, il mondo infero.
Secondo la leggenda un bel giorno, il Diavolo in persona si presentò al Vescovo Ambrogio mentre questi passeggiava sul sagrato per convincerlo a rinnegar la fede e mettersi al suo servizio. Belzebù tentò il Vescovo offrendogli agi, poteri, onori e chi più ne ha più ne metta, ma il prelato aveva un cuore saldo e un temperamento energico (diversamente dal condottiero Gian Galeazzo) e rispose con un bel calcione che spedì il povero Diavolo (è proprio il caso di dirlo) con le corna incastrate nella colonna che si trova, ancor oggi, a sinistra della Basilica.
Il diavolo si contorse e urlò fino ad attirare le attenzioni della sua corte che, giunta la notte, uscì per prestargli soccorso. Gira e tira, il signore oscuro riuscì a trarsi d’impaccio e a rimpicciolirsi fino a passare per uno di quei buchi, e a raggiungere le rive dello Stige ma, ahimè scornato.
Bassorilievo presente raffigurante Sant’Ambrogio
e presente nella Basilica di Milano confrontato
con un bassorilievo raffigurante Bacco presente
su un antico vaso, come si può vedere entrambi
stringono un tirso praticamente identico.
Secondo la tradizione, poi, la colonna sarebbe l’unico avanzo della reggia imperiale che si ergeva proprio in quel luogo e pare che i sovrani barbari (cioè non appartenenti alla popolazione romana) si facessero incoronare al suo cospetto. A quanto pare, l’usanza non andò del tutto perduta perché Gian Galeazzo Visconti nella stessa posizione, si calò sulla testa il berretto ducale, insegna del potere, nel 1385 e che i podestà la abbracciassero durante la cerimonia in cui giuravano fedeltà alle leggi della città.
Il pilastro, quindi, era sicuramente dotato di un «potenziale magico», pare che fosse una sorta di Menhir, che donasse forza e legittimasse la facoltà di governo.
Sebbene la moderna tendenza al materialismo sembri aver contagiato tutti e la Chiesa eviti di menzionare questa leggenda essa ha saputo sopravvivere. Si vocifera che nella notte del Sabato Santo, davanti a questa colonna passi il carro che conduce le anime dei morti nell’aldilà.
Pare, inoltre, che gli esoteristi milanesi si riuniscano ancora intorno a questa colonna nelle notti dei Sabba, in particolar modo a Samahin, Imbolc, Beltane e Litha.
Tuttavia, è nella chiesa che si celano i misteri più ricchi a cominciare dall’Atrio di Ansperto.
Innanzi tutto sui capitelli delle 18 colonne è possibile ammirare un ricco bestiario medievale nel quale è particolarmente abbondante il Basilisco, il terribile mostro che trasforma in pietra con lo sguardo.
Quest’animale ha una funzione simbolica in diverse discipline esoteriche, specie nell’Alchimia, nella quale è ovviamente legato alla fabbricazione del Lapis. Ancora più misteriosa è la presenza, sui capitelli, di figure ascrivibili alla mitologia pagana. Si potrebbe obbiettare che parte della chiesa fu realizzata con materiale di riuso, cioè con capitelli, colonne e altri pezzi decorativi presi da palazzi e templi più antichi eppure la disposizione delle figure lascia intendere che la loro presenza non sia del tutto casuale anzi, segua un certo disegno, una sorta di messaggio cifrato. Tale ipotesi diviene più plausibile se si tiene conto che su uno dei capitelli del portone laterale di sinistra, si trova in bella mostra la rappresentazione di Gilgamesh, giustificato come San Daniele tra i leoni.
Il Centauro Chirone su uno dei capitelli.
Oltre che di Esculapio, Achille e molti altri, fu
maestro anche di Bacco.
(Basilica di Sant’Ambrogio, Milano)
Non è una strana coincidenza trovare un eroe la cui storia ha attinenza con gli inferi in una chiesa che poggia su un cimitero?
Tra l’altro, anche San Daniele, come Gilgamesh, proviene da Babilonia, o meglio, è prigioniero a Babilonia, ma si tratta di un prigioniero speciale le cui capacità profetiche lo rendono il consigliere prima di Nabucodonosor e poi di Dario.
Se Gilgamesh-Daniele non è sufficiente a rendere misteriosa la porta d’entrata alla basilica lo è sicuramente la raffigurazione del suo Vescovo Ambrogio, scolpita di lato, su una lastra di marmo bianco.
Che cosa ci fa Sant’Ambrogio con il tirso di Bacco in mano?
L’agiografia di Sant’Ambrogio non fa alcun riferimento al tirso né a qualsiasi altra caratteristica che possa far assimilare il vescovo milanese al dio Bacco, anzi, egli fu uno zelante persecutore del paganesimo!
In compenso, nel testo «Monumenti sacri e profani dell’Imperiale Basilica di Sant’Ambrogio» del Dott. Giulio Ferrario del 1824 è riportata la tesi che la Basilica sorgesse su un antico tempio pagano. Secondo il Ferrario, il tempio era dedicato a Bacco e non a Esculapio come altri studiosi a lui precedenti e coevi ipotizzavano.
In effetti, il cornuto belzebù dalle gambe caprine non potrebbe essere un sacerdote di Bacco andato a lamentarsi con il vescovo dell’esproprio del tempio e delle proprie funzioni?
I sacerdoti di bacco, durante le cerimonie sacre si mascheravano da satiri, esseri mitologici dalle zampe caprine e busto umano sulla cui fronte spuntavano due cornetti caprini.
E non è forse possibile che lo scultore o anche il dirigente dei lavori abbia voluto ribadire che questo è il tempio di Bacco e non di Sant’Ambrogio mettendo in mano al vescovo un attributo tipico del dio che egli si figurava d’aver scacciato?
Questa tesi appare meno fantasiosa se si considera che, secondo la tradizione, le quattro colonne che reggono il baldacchino dell’altare centrale provengono da un Tempio di Bacco. Oggi, ovviamente, la chiesa e gli istituti artistici ufficiali negano tale provenienza ma si sa, le leggende hanno sempre un fondo di verità.
Le colonne dell’Altare non sono l’unico mistero né l’unico oggetto «magico» custodito all’interno del tempio.
A metà della navata principale, sulla sinistra, troneggia in cima a una colonna di marmo nero niente meno che l’originale serpente di Mosè.
Secondo l’Antico Testamento, il bastone che Jahvè donò a Mosè si trasformò, in seguito ad un miracolo, in un serpente che, dopo, divenne di bronzo.
Il racconto biblico c’informa che Jhavè lo rese miracoloso, chiunque lo avesse contemplato o toccato sarebbe guarito da qualsiasi malattia o ferita per quanto essa fosse mortale. Perciò gli Ebrei custodirono per molto tempo il serpente nel Tempio di Gerusalemme perché i fedeli potessero ricordare i miracoli che Dio aveva compiuto tramite Mosè e che ancora compiva per il suo popolo tramite il serpente.
Pare, però, che il popolo a un certo punto cominciò a credere responsabile delle guarigioni il serpente e non Jahvè, per questo i Farisei decisero di distruggerlo, così che nessuno potesse essere spinto all’idolatria. Non si sa proprio come, ma il serpente riuscì a sfuggire alla distruzione e nel 1002 d.C. fu ritrovato a Costantinopoli dal Vescovo di Milano Arnolfo II che, tornato nel capoluogo lombardo, lo donò alla Basilica.
Appena messo sul suo piedistallo il serpente, tutto contento, cominciò a lavorare. Certo, dopo tanti secoli d’inattività era un pò anchilosato, non guariva ferite mortali ma le madri milanesi sapevano per certo che, fissandolo, i bambini che «avevano i vermi» guarivano. Pare che la cosa funzionasse così bene che, nonostante la perentoria proibizione di una pratica così pagana in chiesa, ci fosse la fila o quasi per mostrare ai bimbi il serpente di Mosè.
Ma il diavolo, o forse il satiro, ci mette nuovamente la coda. Come si sa, il serpente è uno dei simboli di Bacco. Lo stesso stemma dei Visconti, oggi emblema di Milano è legato, da una delle tante leggende sulla sua origine a Dioniso, personificato proprio dai serpenti, poiché divinità ctonia, legata cioè alla Terra e alla sua energia.
Si potrebbe pensare che io voglia a tutti i costi far combaciare la teoria secondo cui la basilica di Sant’Ambrogio si trovi in un luogo misterioso, anzi, in diretto contatto con gli spiriti e l’oltretomba, con l’iniziazione ai misteri della vita e della morte. Può darsi. Forse il serpente in cima alla colonna non ha nulla a che fare con Bacco e rappresenta davvero il serpente di Mosè, simbolo delle forze ctonie fecondanti ma pericolose create da Dio (e questo, abbiate pazienza, non cambierebbe comunque la sostanza e, cioè le particolari energie del luogo e la sua funzione di porta verso l’Altro Mondo).
Ciò che mi lascia, però, perplessa è la presenza, opposta al serpente, di una croce che, pare abbia il compito di bilanciare il serpente, di fargli da guardiano e di ricordare Gesù ai fedeli.
Perché mai il simbolo di una delle figure più carismatiche del Vecchio Testamento avrebbe bisogno di un guardiano?
Ah già, è vero, perché le voci del popolo lo avevano trasformato in un simbolo pagano.
Il serpente di Mosè in cima alla
colonna, una leggenda narra
che insieme alla colonna con
la croce formi una linea di
confine che divide a metà la
Basilica e simboleggi l’eterna
lotta tra il bene e il male.
La cosa davvero importante è che questo tempio è il luogo di contatto tra i mondi, quello invisibile, imperituro ed eterno dal quale proveniamo e al quale ritorniamo e quello effimero e illusorio nel quale transitiamo per qualche decennio e che usiamo chiamare realtà. La cosa fondamentale non è il nome che diamo a questo luogo, se basilica o tempio ma ciò che essa è: il ventre della terra, il ricettacolo del Grande Mistero.
Il motivo per cui i milanesi amano tanto Sant’Ambrogio è ovvio, è lo stesso per cui si ama la mamma. Entrando in questa chiesa ci s’inoltra nell’utero della Terra, si entra in se stessi, si muore a se stessi affrontando lo stesso viaggio che combatterono Gilgamesh e Dioniso nell’oltretomba prima di riemergere alla luce non più uomini ma Dèi. Ecco il senso dei mostri sui capitelli e nella chiesa, sono i mostri del mondo infero, i mostri che nel nostro cuore vogliono pietrificarci come il Basilisco, annegarci nelle nostre lacrime come le Sirene.
Se, come Osiride, anche noi reciteremo davanti ad ogni mostro la parte che ci è richiesta, pronunciando le giuste formule, compiendo i giusti gesti e renderemo il nostro cuore più leggero di una piuma, allora anche noi, usciti dal tempio, saremo rinati a noi stessi.
L’ultimo luogo visitabile della chiesa, infatti, ha a che fare con la Vita, anzi con il Parto. Nell’abside della basilica, una cattedra di marmo assicura il parto senza dolore alle puerpere che vi si siedono. Ancora una volta, siamo alla presenza di simboli che richiamano le divinità ctonie come Dioniso. Il Dio che nacque due volte.
Il Tesoro di Sant’Ambrogio
Questo breve viaggio, intanto, ha già compiuto un piccolo miracolo. Già dentro la chiesa, a visita quasi ultimata, non siamo più esseri isolati che se ne vanno in giro insieme per Milano, siamo un Gruppo, un filo sottile ci lega, siamo a nostro agio gli uni con gli altri e inaspettato giunge un piccolo dono di grande gentilezza a riprova che i cuori umani son fatti per amare e gioire (ma lo sapete, sono una bimbasperduta e questo lo crederò sempre, fino alla morte e oltre).
Giuseppe nota che alla fine della navata destra, in cima a cinque gradini c’è un banchetto con un annoiato volontario che vende i biglietti d’ingresso al Museo di Sant’Ambrogio, aperto nel 2001 grazie ai finanziamenti e al lavoro del Lions Club di Milano.
Il museo è piccolo ma i tesori al suo interno belli e interessanti, vale davvero la pena visitarlo perché se anche non v’interessano le pissidi e gli ostensori in oro dalla delicata manifattura, se anche non vi commuove il presepe ritrovato ad Auschwitz o non vi sorprendono gli angioletti dipinti in 3D e neppure v’incuriosisce l’enorme occhio di Dio in un bellissimo triangolo in ottone seminascosto dietro una teca.
I due euro di biglietto, ve lo assicuro, ben valgono il teriantropo rosso, dal corpo animalesco, inquietante e, allo stesso tempo, bello.
Muscoloso e di un rosso vivace il Diavolo raffigurato ha quattro zampe differenti, coda e volto umano. Pare sia stato ritrovato nella Basilica ma nessuno ha idea di cosa voglia dire, da dove provenga e chi sia l’autore.
Bene, la messa sta per iniziare, è ora di uscire e molti devono correre a prendere il treno ma sembra che nessuno abbia voglia di andar via, è stata una giornata lunga, intensa, gioiosa, persino la pioggia si è rallegrata e alla fine è andata a giocare da qualche altra parte, ma ci scambiamo gli ultimi abbracci e poi ciascuno riprende il suo cammino solitario sapendo di non essere, in realtà, mai solo.
Bimbasperduta
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