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«Gridano i megaliti a tendere all’infinito i loro indici di pietra all’ignoto divino.»
G. Spurio
G. Spurio
Megaliti del Salento |
09 Agosto 2012, ore 09:00 - Il sole è già implacabile quando il Marchese ed io usciamo da casa, per andare a prendere Iris e Andrea, esperto radioestesista che eseguirà dei rilevamenti sul campo.
Mettiamo in moto l’auto e partiamo... mentre guido sono emozionata, piena di aspettative. Mi hanno parlato molto dei Dolmen e dei Menhir sparsi nel Salento.
Ne esistono ben 102, disseminati nelle campagne, io non ne ho mai visto uno dal vivo perciò non ho idea di cosa aspettarmi precisamente.
Abbiamo deciso, per cominciare, di andare a visitare i quattro monumenti megalitici più importanti; con il tempo speriamo di poterli visitare tutti.
Mentre sfiliamo tra gli ulivi e i mandorli che pattugliano la vecchia Strada «Francavilla-Oria», cerco di immaginare cosa vedremo.
Saranno belli come mi è stato detto?
Vale davvero la pena percorrere tanti chilometri, sotto il sole cocente, per visitarli?
Gli scossoni provocati dalle mille buche disseminate per strada mi riportano all’immediato presente, fra le fronde scure degli alberi biancheggia il «Castello di Oria», incoronato da una leggerissima nebbiolina.
In pochi minuti giungo a casa di Iris, mentre aspettiamo ci scambiamo di posto con il Marchese, passa lui alla guida ora, imposto il navigatore per Lecce, all’indirizzo indicatoci da Andrea, Iris sale in macchina, si parte.
Dopo circa un’ora di viaggio siamo finalmente da Andrea, la prima tappa del viaggio è Martano a venticinque chilometri da Lecce.
Il Menhir del Teofilo
Il viaggio dura pochi minuti, arrivati in città, cerchiamo delle indicazioni ma non troviamo nessun cartello: assurdo, un monumento così importante non è minimante segnalato!
Fortunatamente i paesani sono gentilissimi e le loro indicazioni ci portano proprio sotto il megalite.
Sul bordo di un marciapiede, circondato da una catenella, torreggia il «Menhir del Teofilo», il monolite più alto della Puglia. È in pietra leccese e raggiunge i 4 metri e 70 centimetri. Ha un aspetto imponente e fa un effetto davvero stranissimo, il cuore mi batte fortissimo in petto, penso che anche gli altri siano emozionati, scendiamo dall’auto e ci avviciniamo alla colonna.
La strada è deserta, non si vedono negozi e nessun albero protegge l’asfalto dai raggi del sole. Appena giungiamo accanto al menhir sentiamo una forte energia provenire dalla pietra.
Il megalite si trova nella posizione originale, incassato nella roccia, ha visto il paese sorgere attorno a lui. Emozionatissimi posiamo le mani sul testimone secolare e sentiamo una forte energia scuotere le nostre braccia e le nostre gambe, è come una scossa elettrica.
Girando intorno alla colonna troviamo quella che per noi è una piacevole sorpresa: su uno dei lati c’è incisa una croce, questo vuol dire che la grande energia sprigionata dal monolite è stata avvertita e sfruttata nei secoli! Ecco perché il Menhir è ancora vivo!
In quest’aria infuocata Andrea, comincia le sue rilevazioni partendo proprio dalla croce e scopre una cosa molto interessante: dalle pareti del Menhir sembra provenire un «soffio fresco e leggero» nonostante il grande caldo. Avviciniamo le mani a tutti e quattro i lati del monolite, anche a quelli colpiti direttamente dal sole. Anche noi sentiamo arrivare sui nostri palmi il vento fresco. Poggiamo di nuovo le mani sul monumento e ancora sentiamo la sua energia scuoterci. Rimarremmo qui ancora a lungo ma siamo ormai ansiosi di vedere gli altri megaliti.
Un ultimo bacio e abbraccio al Menhir del Teofilo e ripartiamo alla volta di Giurdignano seconda tappa del viaggio.
Il Menhir di San Vincenzo
Giurdignano si trova a poco meno di venti km da Martano. Sebbene sia un paesino piccolo e candido circondato dalla campagna, è uno dei siti più importanti d’Italia e d’Europa per quel che riguarda i Dolmen e i Menhir.
È stato dichiarato Parco d’Italia dei Dolmen e Menhir, poiché nella sua area sono concentrati la maggior parte dei megaliti pugliesi. Le costruzioni sono tantissime e alcune non risultano addirittura censite poiché sorgono nel mezzo di abitazioni e campagne ed è possibile, in alcuni casi, che i loro proprietari ne ignorino l’esistenza.
Il Menhir di San Vito, nella cui base è
cresciuto spontaneamente una
pianta di fico. Abbiamo notato che
il Fico e l’Ulivo sono sempre presenti
nei pressi dei megaliti.
Anche questo megalite è nel punto originale. In direzione di uno degli spigoli è stato piantato un ulivo e le rocce in cui è incastonato, sembrano formare una specie di sedile. Anche gli abitanti del paese devono averlo notato perché alla base delle rocce è poggiata una pietra rettangolare a mo’ di poggiapiedi, sembra di essere davanti ad un trono. È troppo suggestivo per non approfittarne, cedo all’infantile impulso di sedermi su un trono come fossi una regina e occupo il posto scavato nella roccia, ai piedi della colonna.
Sento immediatamente un’energia fortissima, che mi blocca lì dove sono e allo stesso tempo mi radica. è come se i miei piedi divenissero radici, non riesco a muovermi da lì. Tuttavia la sensazione che provo è gradevole, di pace, di protezione, la forza che mi trattiene non è violenta, il mio corpo è rilassato poiché si sente al sicuro.
Comunico la mia sensazione anche agli altri e, fra un rilevamento e l’altro provano anche loro a sedersi ai piedi della millenaria colonna, riscontrando la mia stessa sensazione.
Andrea esegue le sue misurazioni con il pendolo e avviene qualcosa di strano: quando si allontana dal Menhir lo strumento gira fortissimo registrando una grande energia, e quando Andrea si avvicina alla colonna, il pendolo rallenta.
Pensiamo che, forse, l’ulivo crea un vortice d’energia, ma passando per caso davanti ad uno degli spigoli Iris si sente colpita al fianco da una forza invisibile. Insospettiti, decidiamo di porci di proposito in corrispondenza degli spigoli. La prima a provarci è Iris che avverte, immediatamente un colpo allo stomaco. Riproviamo, e ciascuno di noi avverte un’energia fortissima. Allora Andrea prova le sue rilevazioni e il pendolo evidenzia che il Menhir sembra comportarsi come un obelisco preistorico, accumula energia nella punta e la distribuisce nelle quattro direzioni attraverso gli spigoli.
Siamo così presi dal menhir che ci rendiamo appena conto che è arrivata già l’una e che se non ci sbrighiamo non troveremo dove rinfocillarci. L’atmosfera è irreale, il paese sembra deserto, avvolto da un’afa incandescente. In piazza troviamo solo un piccolo bar aperto, di pranzare non se ne parla, possiamo tuttavia rinfrancarci con gelati e acqua all’ombra del gazebo. Quando siamo sufficientemente riposati, ci rimettiamo in marcia, deve pur esserci un modo per visitare il resto dei megaliti.
I Menhir tristi
Il caso non esiste, una forza invisibile guida i nostri passi come un pittore che tracci con pennelli fantastici i sentieri che dovremo percorrere.
Il percorso megalitico è nuovamente libero, felici imbocchiamo la strada di terra battuta, dopo qualche curva il paese sembra ormai lontano. Ci immergiamo nella campagna salentina, gli ulivi ondeggiano lievi e le cicale saturano l’aria del loro monotono canto. Dopo qualche metro giungiamo a un incrocio. Di fronte ad un casolare che sembra abbandonato, si ergono tre Menhir, protetti da una staccionata di legno.
Scendiamo dall’auto ormai coperta di polvere; vedendo la spazzatura che punteggia il terreno attorno ai Menhir, mi si stringe il cuore: dal cartello turistico, presente nei pressi scopriamo che fino a pochi decenni fa, la Domenica delle Palme, questi Menhir erano la meta di una processione rituale che partiva dalla chiesa, ed oggi, invece, versano nel più squallido abbandono!
Non voglio pensarci ora, non voglio lasciarmi prendere dalla rabbia e dallo sconforto, voglio godere di quel che posso, prendere quanto la giornata mi dona. Presto, però, scopro di non essere l’unica sconfortata: appena poggio la mano sulla colonna centrale sento che diversamente dai suoi cugini, questo Menhir piange, è così depresso e sconfortato che quando lo cingo ho l’impressione di avere fra le braccia un bambino che piange in modo inconsolabile.
I rilevamenti di Andrea confermano le mie sensazioni. Anche gli altri, toccando le colonne sentono tristezza o bassa energia.
In un primo momento non abbiamo compreso perché questi menhir fossero così depressi, abbiamo supposto che forse non si trovavano nel luogo d’origine, chissà, magari erano stati spostati. Dietro il Menhir centrale, spostato leggermente a destra la roccia presenta una scavatura quadrata le cui dimensioni sembrano corrispondere alla punta del Menhir. Ora questa ipotesi mi sembra assurda, ma in quel momento abbiamo creduto che provasse che il monolite era stato spostato.
Anche questi Menhir recano una croce incisa in basso, ad altezza d’uomo; dal cartello d’informazione turistica apprendiamo che le croci furono incise in epoca cristiana, quando si tentò di cristianizzare i Menhir: questo vuol dire che furono adoperati ancora per molto tempo dopo la cristianizzazione, per ciò sono ancora vivi, pulsanti di energia, desiderosi di essere ancora visitati, amati, usati per entrare in contatto con il divino.
C’è qualcosa di magico in questi luoghi, forse sono davvero le porte delle Sidhe, le misteriose colline che celano il mondo dei Fayries, gli esseri fatati, perché d’improvviso mi sento catapultata in un tempo lontano, quando da bambina sgambettavo con i miei compagni, fra strade altrettanto selvatiche e brulle, bianche di polvere e abitate da ulivi. A quel tempo non girovagavo in cerca di dolmen e menhir: visitavo trulli diroccati in cerca di covi di streghe. Gli anni sono passati, il folletto scalzo si è trasformato in uno spirito dei boschi che, con i compagni risale in auto, alla volta di nuove magiche dimore.
Il primo Dolmen e l’uliveto sacro
Seguiamo le nuove indicazioni turistiche e giungiamo in breve tempo nei pressi del terzo Menhir, accanto al quale si trova il primo Dolmen.
Parcheggiamo in un terreno adiacente, all’ombra degli ulivi.
Il Menhir è incassato in un’enorme roccia, simile al guscio di una tartaruga preistorica. Anche questo monolite presenta le caratteristiche fino ad ora riscontrate: grande energia sprigionata dagli angoli, un vento fresco che promana dalle pareti nonostante il caldo torrido. Mentre Andrea procede ai soliti rilevamenti con il pendolo io scavalco il muretto a secco che cinge l’uliveto nel quale si trova il dolmen.
Un breve corridoio di terra battuta conduce all’entrata del dolmen, formata da due colonne di pietra, il tetto è completamente coperto di terra così che dall’alto il monumento non è visibile. Accanto alla colonna destra si trova un albero di fico le cui radici hanno ricoperto l’interno del monumento.
Mi avvicino, sembra di essere all’entrata di un altro mondo. La spazzatura e la sporcizia presente a terra segnalano la lotta impari della pro-loco conro il vandalismo. Mi si stringe il cuore, perché questo dolmen è davvero fantastico. Lungo le pareti corrono dei sedili in pietra e delle nicchie, drappeggiate dalle radici del fico, segno che il luogo non era una semplice sepoltura ma un vero e proprio luogo di culto, nel quale, forse, erano officiati riti sacri. In effetti, sarebbe un luogo splendido per la celebrazione di Hand-fasting (matrimonio celtico): sul corridoio in terra battuta, fiancheggiato dal muretto a secco e dalle colonne in pietra, le fronde del fico che proiettano giochi di luci verdi e ombre fresche. Il silenzio maestoso degli ulivi e il suono straripante delle cicale creano un’atmosfera davvero molto affascinante.
La promessa
La soglia del Dolmen fotografata dall’interno.
Sono evidenti le radici dell’albero di fico e
una delle nicchie.
L’intero uliveto sembra percorso da potenti energie, in alcuni punti pare di essere circondati da Driadi, qua e là vi sono cumuli neri, quanto rimane della legna d’ulivo bruciata da poco, le ceneri saranno presto sparse per concimare il terreno ma quei tumuli vegetali danno uno strano aspetto al luogo.
Andrea ha eseguito diversi esami radiestesici, sia nei pressi del dolmen sia sui tumuli ed anche in altri punti dell’uliveto.
In tutti i casi, il suo pendolo ha rilevato un’energia molto forte ma su uno dei tumuli, secondo il suo pendolo sono stati eseguiti sacrifici.
Non siamo a conoscenza di gruppi di magia che operino nelle vicinanze per cui non sappiamo fino a che punto possa trattarsi di magia, quel che è certo è che il luogo sembra chiedere aiuto, anche Iris e il Marchese hanno riscontrato la stessa cosa.
Iris ha notato al limitare dell’uliveto un piccolo casolare. Si tratta di una costruzione abbastanza comune nelle campagne salentine, utilizzata dai contadini per custodire gli attrezzi. Avvicinatasi alla costruzione, però, ha avvertito una disperata richiesta d’aiuto, accompagnata da una potente energia negativa che l’ha indotta ad allontanarsi dal luogo immediatamente.
Dalla parte opposta, nello stesso istante, il Marchese di Carabas ha posato la mano su un albero d’ulivo ed anche lui ha avvertito una disperata richiesta d’aiuto. Imbarazzati, abbiamo discusso di questa sensazione senza comprendere cosa volessero dirci quegli alberi e quella terra fino a che non abbiamo deciso di andare via. Allora, un ramo d’ulivo si è incastrato nella mia gonna, tirandomi come un bambino stringe le gonne della mamma che tenta di lasciarlo all’asilo e così ho compreso non solo quel luogo, ma anche i Menhir piangenti: quell’uliveto, si sente abbandonato, desidera tornare ai fasti di un tempo. Non ho potuto resistere, ho abbracciato il candido fico che ombreggia il dolmen e baciandolo gli ho promesso che avrei cercato un modo per riportargli druidi e sacerdoti e sposi e fanciulli danzanti intorno alla sue fronde.
Le pietre giganti
Il prossimo Dolmen che visiteremo è anche l’ultimo del tour, le indicazioni sono molto chiare, seguiamo quella che in siciliano si chiamerebbe trazzéra, una strada di campagna stretta, polverosa, straordinariamente ricca di sassi e di buche e fiancheggiata da cespugli di more selvatiche pronti ad attentare alla carrozzeria dell’auto. Se decidete di andare a visitare i Dolmen e i Menhir salentini, non lavate la macchina prima del tour.
Ogni ombra di civiltà sembra ormai lontana nel tempo e nello spazio quando giungiamo in prossimità del Dolmen: è nascosto da una gran quantità di enormi pietre ammassate le une sulle altre, si pensa siano le pietre dei vecchi dolmen smontati e ammassati, fanno davvero impressione, sembrano i «lego» di un gigante ammonticchiati negligentemente in un angolo.
Il luogo è straordinario. Siamo in mezzo alla campagna brulla, l’aria è gialla di sole, immobile e gonfia di cicale. Potremmo essere ovunque.
Appena scesi dall’auto siamo accolti dall’ormai immancabile albero di fico che fa ombra a delle lastre in pietra piatte che hanno tutta l’aria di antichi altari. Dietro l’albero, a qualche metro, si erge il dolmen, alto, massiccio e buio.
Al suo interno una grossa lucertola è stesa con la stessa aria seria di un drago che protegga segreti tesori.
Iris e il Marchese esplorano l’area intorno. Lo spazio davanti al dolmen è interamente pavimentato con enormi lastre di pietra che presentano diverse scanalature. Andrea ed io, invece, saliamo sul dolmen, sono presenti le stesse scanalature, anzi, è evidente che i solchi a terra sono in relazione con questi sul dolmen, sembrano canali per lo scorrimento di liquidi, sangue di animali sacrificati agli Dei?
Nel cuore del Dolmen
Lastra di pietra (forse un «Altare») con
scalanature di fronte al dolmen.
Dalle misurazioni con il pendolo risulta
emanare una forte energia tellurica
Andrea è già stato qui, giorni addietro. Con l’aiuto del pendolo, ha individuato il centro del sito e svolto un piccolo esperimento con le persone che lo accompagnavano e con la guida, ora vorrebbe rifarlo con noi ma con una piccola variante: chiede a noi di trovare il centro.
In effetti, non c’è bisogno del pendolo per trovare il cuore energetico del luogo, lo avvertiamo subito e lo indichiamo ad Andrea che conferma.
Ci disponiamo in cerchio tenendoci per mano intorno al punto appena trovato, chiudiamo gli occhi e ci mettiamo in ascolto.
Dopo pochi minuti accade.
Comincio a ondeggiare sento, anzi, mi sembra di vedere, un vortice che sorge dal centro del nostro cerchio e il mio corpo danza al ritmo della sua luce, continuo a ondeggiare sempre di più, sto bene, avverto una grande forza scaturire da terra e avvolgermi.
Quando riapro gli occhi, anche gli altri dicono d’aver provato sensazioni simili, è stato fantastico.
Vorremmo indagare meglio, esplorare la zona, ascoltare con più calma la voce della Terra ma il sole è sempre più caldo e noi abbiamo sempre più fame e sete.
Guardiamo un’ultima volta queste antichissime pietre, salutiamo la lucertola che dorme. Mentre percorriamo la strada al contrario, guidati dal navigatore gazze ladre ci salutano, volando di albero in albero, nei loro altissimi nidi.
In appena venti minuti raggiungiamo Otranto, la lontananza dal mondo civilizzato era solo un’illusione, in realtà, a pochi chilometri dalle spiagge affollate e le gelaterie scintillanti esiste un luogo magico, dal quale si può accedere alla dimensione dell’immaginazione e del sacro, sapere questo mi conforta. Esiste un tesoro oltre il rumore e la fretta, un luogo, dove il tempo è lento e il cuore può riposare, un luogo che spero di poter visitare ancora molte volte.
Bimbasperduta
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