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William Shakeaspeare
Il nome dei Tarocchi |
I Tarocchi sono sicuramente il metodo divinatorio più conosciuto e utilizzato al mondo. Gli Iniziati e Maghi del secondo Ottocento e del Novecento si sono interessati al loro studio, ravvisando nel misterioso mazzo i simboli della Cabala, dell’Alchimia, l’Astrologia ecc.
Alcuni, come Etteila e Court de Gebelin li hanno fatti risalire all’Antico Egitto, altre teorie più recenti li vogliono provenienti dalle tradizioni Indiane, altre, sulla scia di Jodorosky, vogliono i tarocchi prodotto dell’accordo d’illuminati appartenenti alle tre religioni monoteiste per lasciare un messaggio di unità e saggezza all’umanità.
Tuttavia, a dispetto dei molti libri scritti in proposito, il senso ultimo delle 78 lame continua a fuggire i confini di ogni teoria, continuano a scompigliare gli schemi splendidi e perfetti che i sapienti affannosamente compongono in anni di studi.
"Il Gioco dei Tarocchi" - Palazzo Borromeo,
Milano. Il dipinto, fa parte di una serie di
affreschi raffiguranti i giochi di corte.
A dire il vero, è incerta l’origine stessa dell’uso di carte da gioco in Italia e in Europa. Infatti, dalle fonti a nostra disposizione è certo che fino alla metà del Settecento i Tarocchi erano diffusi come gioco di società, del quale sopravvive ancora un unico mazzo francese.
Pare che, con il passare del tempo, il gioco originale dei tarocchi sia andato semplificandosi fino a che le prime 21 carte non sono scomparse dal gioco lasciando le altre 56 carte degli «arcani minori» e dando, dunque vita ai mazzi di carte da gioco italiani, francesi e inglesi che tutti conosciamo. L’unico arcano maggiore sopravvissuto è il «Matto» trasformatosi nel «Jolly».
Questa carta, ha conservato il ruolo che aveva nell’antico gioco dei tarocchi, ma questa è una questione che affronteremo in altra sede, concentriamoci, per il momento, sulla storia dei nomi che queste carte, hanno assunto nel tempo nella speranza che, questo piccolo «trip» ci porti un pò più vicino al pulsante cuore di queste magnifiche figure.
Naibi e trionfi medievali
Secondo alcune fonti la diffusione delle carte da gioco in Europa e Italia può essere fatta risalire agli Arabi.
È, infatti, attestato che sin dal Medioevo i mazzi di carte erano indicati col termine «Naibi» che si ritiene di origine araba poiché i Mammalucchi usavano questo gioco già nel XIII secolo, fatto sta che per molto tempo le carte furono chiamate Naib, Naip anche in riferimento ai tarocchi.
Tuttavia non è possibile definire se le Lamine ci siano o no state portate dagli arabi e se fossero in origine chiamate Naib, poiché i documenti dell’epoca parlano si di carte da gioco chiamate Naibi ma non descrivono né le carte né il gioco.
Purtroppo i documenti storici ci obbligano a un salto nel vuoto di circa un secolo e cioè fino al 1370 circa quando appaiono i primi documenti relativi a questo gioco.
Nel 1371, il poeta catalano Jaume March usa il termine «Naips», all’interno del suo libro «Livre de concordances appellant diccionari», ma all’interno delle rime non è chiarito il significato di tale parola.
Questo è il primo di tanti documenti nei quali compare il termine «naib» in tutte le sue varianti in riferimento al «gioco dei naibi». Il documento che riteniamo più importante è il «Libro delle Provvigioni fiorentine» attraverso il quale si scopre che la Zecca di Firenze, insieme alla fabbricazione delle monete, si assicurava anche la fabbricazione dei naibi, poiché, unito ad altri documenti ci porta a pensare che i naibi fossero delle carte usate per giochi diversi, alcuni deprecati perché d’azzardo, altri, invece, molto apprezzati perché istruttivi.
In ogni caso, una vera e propria diffusione del gioco con le carte avviene verso il XIV secolo e in un primo tempo i mazzi sono tutti chiamati «naip» ma, all’improvviso, accanto a questo termine appare anche la parola «Trionfi», per designare un tipo di carte che si diffuse molto in fretta in Italia e in Europa.
Cito testualmente l’Enciclopedia «L’Arte dei Tarocchi»:
«In realtà, per molto tempo i giocatori usarono il termine «Trionfi» per riferirsi alle 22 figure attualmente conosciute come Arcani Maggiori... il primo documento noto in cui compare la parola «Trionfi», con riferimento alle carte, è il Registro dei Mandati del ducato estense. Lì, nell’anno 1442, fu riportata la notazione di un incarico al pittore Jiacomo Guerzo: la commissione riguardava proprio "un mazzo di carte da Trionfi per cavalieri"».
Questo è solo il primo di molti documenti che dimostrano come uno dei primi nomi dei tarocchi sia stato proprio Trionfi, ma perché tale nome?
Le ipotesi sono qui molto diverse, citerò quelle più accreditate sempre testualmente:
"Una teoria fa derivare il termine «Trionfi» dal semplice fatto che queste carte, nel gioco, trionfano sempre sulle carte numerali. C’è chi, invece, ha avanzato una diversa spiegazione, ipotizzando il loro rapporto con i carri trionfali che, in epoca medievale e rinascimentale, accompagnavano le processioni carnevalesche.
In effetti, nell’opuscolo illustrativo allegato al mazzo del Grand Cercle Francais de Tarots, specifica che i 22 arcani maggiori sono vincenti.
Per quel che riguarda la seconda ipotesi, invece, fra il Medioevo e, il rinascimento, il Carnevale era una festa molto sentita e rivestiva grande importanza, era l’occasione, per la popolazione di esprimersi in piena libertà, perciò i Carri Trionfali erano allestiti con grande cura ed entusiasmo in tutte le città, oggi, ne rimane testimonianza nei carri allegorici di alcuni Carnevali.
Vi è anche un’altra ipotesi legata ai carri trionfali, qualcuno ha suggerito un possibile legame con i celebri Trionfi di Francesco Petrarca.
Il duca Borso d’Este, raffinato mecenate,
commissionò i magnifici affreschi con carri
Trionfali che adronano la «Sala dei Mesi»
a Palazzo Schifanoia di Ferrara
L’opera conobbe molte edizioni, alcune illustrate e ben presto i versi divennero quadri nei quali, l’amore, la morte, le virtù teologali e cardinali ecc.
L’ipotesi pare ancora più plausibile se si pensa che proprio il raffinato principe Borso d’Este, commissionò lo splendido ciclo di affreschi astrologici di Palazzo Schifanoia che mostra una sfilata di carri Trionfali rappresentanti le Forze universali e astrologiche che governano la vita umana e che influenzarono la storia e la vita dell’aristocrazia.
Infine proprio sotto il governo di Borso il popolo estense poté ammirare maestose sfilate di carri trionfali che egli faceva organizzare in proprio onore.
Non bisogna poi dimenticare che nel 1388 i Visconti di Milano s’impossessarono della biblioteca padovana del Petrarca e i primi mazzi di tarocchi in Italia appaiono proprio fra Milano, Ferrara e Bologna.
E’ dunque plausibile pensare che quest’ambiente fosse più fecondo per la nascita di un mazzo di carte allegorico delle diverse potenze e forze che regolano il macro e il micro cosmo come sono i tarocchi.
Tuttavia, per quanto la prospettiva che tra i Trionfi estensi e i Trionfi arcani vi sia un nesso, non vi è alcun segno storico che possa farci propendere per questa o altre teorie. L’origine e il significato della parole Trionfi applicata alle carte da gioco rimane un mistero irrisolto al quale si aggiunge un altro mistero: il passaggio dal termine «Trionfi» alla parola «Tarocchi».
Dai Trionfi ai Tarocchi
Quasi improvvisamente e senza alcuna spiegazione apparente i Trionfi cominciano a essere identificati con il termine «Tarocchi», una parola nuova e usata esclusivamente per le carte.
Questo passaggio di terminologia ha dato luogo a interrogativi, supposizioni e dibattiti non solo nel mondo degli studiosi di storia ma anche da parte degli esoteristi poiché è possibile che dietro il termine «Tarocchi» si nasconda il segreto profondo di questo mazzo che, guarda caso, sono chiamati anche «arcani».
Origini artigiane
Una delle ipotesi ritenuta più plausibile è quella secondo la quale il nome Tarocchi derivi dal tipo di stampa usata per realizzare le carte detta «Taratura».
Carta della «Morte» dei
Tarocchi Visconti di Modrone,
attribuiti a Bonifacio Bembo.
Tempera e olio su pergamena.
New Haven, Yale University
Library
L’ipotesi però decade se si pensa che il termine «Tarocchi» compare circa 70 anni dopo la realizzazione delle prime carte miniate inizialmente chiamate Trionfi.
Infatti, l’uso della parola «Tarocchi» è accertato a partire dagli inizi del Cinquecento attraverso il «Registro di Guardaroba» della corte di Ferrara, datato 1516 nel quale è riportato il pagamento di «due para de tarocchi».
Secondo altri il termine «tarocchi», con il quale si designa il mazzo, deriva dal vocabolo dialettale «tarocco» molto diffuso nelle diverse regioni d’Italia a quell’epoca e ancora usato in alcune zone e che significa appunto «sciocco», «falso», «di poco conto».
Infatti, i tarocchi si diffondono come gioco, vale a dire come bagatella (osservare che la prima carta è quella del «bagatto»), dunque come una cosa frivola e senza importanza, per di più, ben presto divennero un «ludus puerorum», furono inventati mazzi a scopo didattico perché i bambini potessero giocare e imparare, insomma possiamo dire che i Tarocchi, furono gli antenati del famoso «Sapientino».
Il primo a fornire tale ipotesi fu Francesco Berni, nel suo «Capitolo del gioco della Primiera», pubblicato a Roma nel 1526.
Questa ipotesi sembra calzare a pennello ai tarocchi e all’uso che se ne faceva in passato, infatti, la parola «taroccar» indicava l’azione di «fare lo scemo» il «non serio», il «puerile» e il «frivolo» ma anche il «prendersi gioco» e l’«imbrogliare», e poi, per estensione tutti gli altri significati che oggi conosciamo.
Non sarebbe plausibile che il gioco dei Trionfi sia divenuto col tempo una taroccata? Cioè il gioco dei bari?
Infatti, presto il gioco dei Trionfi passò dalle corti e le sale dei giochi dei bimbi aristocratici alle taverne, subendo tutte le trasformazioni del caso. Così esso era un «tarocco», dunque una «bagatella» per bambini, taroccato in osteria, cioè reso un gioco d’azzardo dove, appunto, s’imbroglia e tarocca.
Il Bagatto nei Tarocchi di Marsiglia.
Si trattava di un prestigiatore. Si
esibiva nei mercati, a volte grazie
alla propria abilità derubava gli
spettatori.
Sotto le spoglie di un giocoliere e di un folle, si nasconde, invero, l’adepto e l’asceta. È evidente che i tarocchi nascondono sotto apparenze semplici significati profondi. Dunque, in un certo senso, imbrogliano, sono falsi e dunque, «tarocchi», sebbene in senso capovolto.
Il termine «tarocchi» potrebbe esprimere, la caratteristica di queste carte, d’invertire il senso delle cose perché solo gli Iniziati possano coglierle.
Viste così le cose sembrano semplici, lineari e ben spiegate ma a un’analisi più attenta ci accorgiamo che la supposizione di Berni rende però ancor più misterioso questo mazzo e infittisce le nebbie che avvolgono il suo nome.
Il «Capitolo sulla Primiera» appare appena dieci anni dopo il primo documento che attesta l’uso della parola «Tarocchi», ma già le umane genti hanno dimenticato le origini di tale nome, possibile?
Forse è solo un funambolismo ma tutto questo suggerisce due ipotesi, una essoterica e una esoterica.
È possibile che il termine «tarocchi» sia un meme, vale a dire un termine inizialmente adoperato da una sola persona o da una ristretta cerchia di persone e che, in seguito, abbia raggiunto una tale diffusione da assumere una «vita propria» dissociandosi completamente dal suo autore.
Se così fosse la diffusione del termine tarocchi, sarebbe forse anche molto antecedente il 1516, ma non rintracciabile poiché orale. Una volta divenuti tali i memi presentano vita propria e difficilmente se ne può rintracciare la partenità, tanto più per quelli di epoche passate nelle quali le informazioni scritte erano molto scarse ed ecco perché già nel 1526 nessuno sa perché le carte con le quali giocano tanto si chiamano Tarocchi!
Come ho già accennato sopra, uno dei giochi che venivano fatti con i tarocchi è molto simile al gioco della Primiera, tanto che il Berni ne spiegandone le regole parla dei tarocchi. Se le moderne carte gioco derivano dai Tarocchi, non è forse plausibile pensare che anche alcuni dei moderni giochi di carte trovino origine nei giochi con i tarocchi?
E poiché la Primiera si giocava nel periodo di maggior diffusione delle Lame Arcane come mezzo d’intrattenimento non potrebbe essere stata, inizialmente, giocata con i tarocchi intesa come «gioco della Primavera», in riferimento al senso simbolico e misterico della stagione?
Infatti, «Primiera» è il nome di una festività popolare legata alla Primavera e di origine pagana. Come si sa, i riti legati a questa stagione ruotano intorno ai misteri di morte e resurrezione e i misteri che sottendono la Vita.
Tarocchi come Torah
A partire dal XVIII secolo, i Tarocchi assumono il valore di «Libro Muto» per iniziati grazie alle pubblicazioni di De Gebelin ed Etteila.
A partire da quel momento, esoteristi e iniziati hanno dedicato importanti studi al mazzo ideandone di nuovi e tentando di sviscerarne l’intimo segreto.
Il sentieri Egizi
Il primo fra tutti, a suggerire un’ «etimologia esoterica» per il nome «Tarocchi», fu Court de Gebelin, nella sua enciclopedia «Le Monde Primitif» - «Mondo Primitivo».
il Dio Thot, nelle sembianze di un Babbuino.
Thot è il dio del «Verbo», e della Sapienza.
Dai Greci e poi durante il Rinascimento fu
assimilato ad Hermete Trismegisto.
Museo Egizio, Torino.
Nel capitolo l’autore spiegava anche gli altri nomi delle lame riconducendole a parole egizie e interpretava gli arcani maggiori come la rappresentazione della storia di Iside e Osiride.
Sebbene non vi siano prove delle affermazioni di Gebelin esse, seppur arbitrarie, originali e a volte false (in seguito le scoperte archeologiche gli hanno dato torto), sono quanto mai piene di fascino e interessanti.
Inoltre, a Gebelin va comunque il merito di aver intuito per primo, che sotto un banale gioco di società si celasse un’antica e profonda sapienza.
Louis-Rphael de Fayolle, collaboratore di Court de Gebelin, in un suo articolo, dichiara che il termine «tarocchi» deriverebbe dalla parola egizia «Ta-Rosh» che significherebbe «Tavole della Dottrina di Mercurio» (difatti Thot corrisponde al Dio Mercurio della mitologia greca).
Se è a de Gebelin che va il merito d’aver intuito la reale importanza dei Tarocchi è a Jean Baptiste Alliette, conosciuto come Etteilla, il merito d’aver reso i tarocchi, il mezzo divinatorio e iniziatico che tutti oggi conosciamo.
Anche Etteila era convinto che i tarocchi venissero dall’antico Egitto ma egli pensava che, con il tempo, l’originale Libro di Thot fosse stato frainteso e che i disegni dei moderni mazzi fossero errati. Allo scopo di correggere gli errori che, a suo dire, avevano deturpato il Libro di Thot, ridisegnò il mazzo cambiando alcune figure e spostando la numerazione di altre.
Etteila non sembra aver dato interpretazioni etimologiche particolari al termine «Tarocchi», egli preferì enfatizzare la loro origine egizia dando all’intero mazzo sempre e comunque il nome di «Libro di Thot», ma fu proprio l’enfasi da lui posta sulle origini egizie del mazzo a confermare le teorie etimologiche di Courte de Gebelin e di Fayolle.
Così, fino ai primi anni del XX secolo i Tarocchi furono considerati indiscutibilmente di origine egizia dal mondo esoterico.
Tarocchi, rota e Torah
Un’altra, interessante interpretazione della parola «Tarocchi» ci viene fornita da Eliphas Levi. Secondo l’ex diacono di Saint-Sulplice, Tarocchi deriva da due parole una latina «Rota» e una ebraica «Tora» delle quali, il termine «Tarot» (in francese) sarebbe l’abbreviazione.
Secondo Levi, il nome «Tarot» conterrebbe in se stesso un profondo segreto essendo formato dai caratteri che formano il monogramma di Cristo uniti all’alfa e all’Omega dell’Apocalisse.
Levi giunse a tale conclusione dopo lo studio dell’opera del cabalista Guillaume Postel, «Chiave delle cose nascoste dall’inizio del mondo» (Amsterdam 1645).
Alla fine del volume vi era disegnata una chiave accompagnata da simboli e scritte. Lo studio di quest’ultima, raffrontato con i tarocchi, convinse Levi che le 78 lame erano la chiave per aprire i Grandi Misteri e della Cabala.
«Senza Tarocchi la magia degli antichi è un libro chiuso e sarebbe impossibile penetrare i misteri della Cabala».
Le teorie che legano i Tarocchi alla Cabala sono interessanti e l’associazione fra i sentieri che legano le sephiroth e i 22 Arcani maggiori offrono spunti di riflessione di grande pregio, che possono arricchire il percorso di scoperta e conoscenza così come l’associazione delle lame con le 22 lettere dall’alfabeto sacro ebraico.
Tuttavia, far combaciare Cabala e tarocchi ha spesso richiesto agli esoteristi contorsionismi davvero eccezionali.
Il merito di Levi, tuttavia è quello di aver messo in evidenza il grande valore iniziatico presente nei tarocchi.
Grazie ai suoi studi e le sue pubblicazioni possiamo osservare come, pur non essendone una derivazione, né una spiegazione, i tarocchi abbiano struttura simile a quella della Cabala ebraica e di altri testi o vie iniziatiche.
Questo ci fa comprendere come l’attività di leggere il futuro, sia solo marginale nell’uso dei tarocchi, essa è solo una bagatella al pari dei giochi imbastiti con i primi Trionfi.
Dalla Torah alla Tara
Le ultime teorie vedono i Tarocchi come originari dell’Oriente, in particolare dell’India. Alcuni moderni studiosi, reputano che la parola «tarocchi» derivi dal termine «Tara», nome, allo stesso tempo, di una divinità del buddismo tibetano e di una via iniziatica di ascesi.
In epoca già islamica, gli insegnamenti della Tara, sarebbero giunti fino in Egitto e poi, diffusosi nel sufismo entrando a far parte della tari qua (pronunciata taiccà), la via iniziatica sufi, a questo punto è passata in Europa, sotto forma di Tarocchi.
Come sempre, attorno a questa teoria principale vi sono un infinità di sfumature, io, tuttavia, propongo quella di Gerardo Lonardoni, esposta nel suo libro «La via del Sacro - i simboli dei Tarocchi fra Oriente e Occidente» ed. Martina.
Secondo lo studioso, infatti, la sapienza contenuta nei tarocchi ha origine nella lontana India, in particolare negli Shivasutra, ovvero gli aforismi di Shiva.
Si tratta di una raccolta di aforismi formati da 22 aforismi maggiori, 10 aforismi intermedi e 46 minori, la stessa struttura dei Tarocchi. I 78 aforismi rappresentano una via diretta di ascesi.
Gli aforismi raccolti rappresentano le 78 Agli Shivasutra, Lonardoni affianca Tara, in particolare il culto Tara Verde divinità del Buddismo tibetano. Si tratta di una divinità proveniente dall’India, raffigurata come una fanciulla di sedici anni circa, graziosamente posta in una mandala e accompagnata da altre 21 tare sue minori emanazioni, la stessa struttura degli arcani maggiori.
Il passaggio per il mondo islamico è evidenziato graficamente nelle carte numerali. Il seme di bastoni adottato dagli arabi proviene direttamente dalle mazze da criquet, ancora raffigurate in India.
Shiva, signore della danza.
La sua iconografia ricorda
sorprendentemente l’arcano XXI,
Il Mondo. Museo Guimet
"Esiste anche un’altra sorprendente corrispondenza tra il vocabolo sanscrito Tara, e i possibili radicali arabi da cui alcune teorie fanno derivare il termine italiano Tarocco. La radice indoeuropea TR è infatti all’origine di diversi vocaboli sanscriti quali taraka, tarika, tarani e altri. In quanto formati dal causativo di TR-, significano: salvatore, redentore, conservatore, liberatore, passatore, astro.
Tara, nel buddismo tantrico indo-tibetano, è la forza misteriosa del bodhisattwa avalokitesvara, colei che ci fa passare all’altra sponda, identificata con la perfezione della sapienza; La liberatrice, la salvatrice, la Stella della redenzione, dalla radice indoeuropea STER- che ha originato, altresì il bretone e cornese sterenn, il latino stella, il greco astron e, appunto il sanscrito Taras (stelle, nominativo plurale). Questo significato è palesemente affine a quello già visto del termine arabo al-tariq, il visitatore notturno, la stella del mattino: una interessante convergenza di significati tra parole aventi una comune assonanza in due lingue sacre - sanscrito e arabo - che potrebbe gettare ulteriore luce sulla parola derivata «Tarocco»".
Secondo questa interpretazione etimologica i Tarocchi non sono solo una scala verso il raggiungimento della perfezione spirituale e il completamento naturale dei sistemi spirituali indiani e sufi ma le 78 lame sarebbero, la Stella Polare dell’ Asceta, la
Duomo di Milano. Le cattedrali
gotiche sono dei veri e propri libri
scolpiti, nei quali figure e simboli
sostituiscono le parole. Nati nello
stesso
periodo, i Tarocchi sono delle
vere e proprie cattedrali tascabili.
Forse ora vi starete chiedendo quale sia, alla fine, la vera etimologia della parola «Tarocchi», nessuno ha ancora scritto la parola fine, forse tutte queste teorie sono vere oppure sono tutte fuori strada chissà.
Quel che è certo è che ancora una volta a differenza delle altre mantiche, la cartomanzia sfugge alla storia, agli schemi, ai linguisti confermando solo e unicamente la sua natura mercuriale, cangiante, inafferrabile.
Come scrive Lonardoni, il limite e il vantaggio dei Tarocchi è il loro essere costituiti quasi esclusivamente da simboli, fatta eccezione per il nome e il numero della carta che, tuttavia, è anch’esso simbolo.
Il simbolo in sé stesso non dice nulla e tutto, ed è soggetto alla trasformazione. I personaggi dei tarocchi non sono quasi più quotidiani nella nostra epoca o, quantomeno, hanno un diverso significato per noi.
Ad esempio, figure come il Matto, l’Appeso, il Bagatto, oggi sono apparentemente estranee e lontane dalla nostra società.
Come accade per le cattedrali gotiche, le immagini dei Tarocchi rischiano di essere mute per i nostri occhi che non sembrano conoscerne la sintassi. Sicuramente quando pensiamo a un Matto, noi non vediamo un giullare, così il giullare dei marsigliesi, a prima vista ci dice ben poco, ma proprio per questo, perché non è niente, esso può essere tutto.
Nel loro «non senso», nella loro «non origine», «non etimologia» e «non storia» i Tarocchi sono l’intero ventaglio di possibilità che si dispiega davanti a noi.
Persino il loro nome, indica all’anima che cerca e anela, infiniti sentieri, lande, paesi e mondi da esplorare, per conoscere meglio noi stessi e dunque giungere alla Verità.
Possiate perdere, durante il cammino, la vostra saggezza viandanti, acquisendo, finalmente, la Follia Divina, l’alato Hermes guidi i vostri passi.