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«Nella profondità dell’inverno, ho imparato alla fine che dentro di me
c’é un’estate invincibile.»
Albert Camus
La Giubiana |
Quando ero giovane e le mie mani possenti stringevano forte il martello e tenevan fermo il ferro sull’incudine, viaggiai molto nelle terre dei Longobardi, com’era usanza tra i fabbri. Difatti per i misteri dell’arte loro, essi non sono ammessi nella società civile che pur di loro ha gran necessità e affannosamente li cerca e grandemente li teme. Così quasi come accade ai maghi che vagano, danno i lor servigi e poi svaniscono così come son giunti, anche i fabbri vagano da una terra all’altra senza mai fermarsi.
Così oggi... il narrar di tali storie è
la sola abilità che a me resta per
guadagnar da vivere quei pochi
anni che ancor Dio mi concede.
In questo mio peregrinare conobbi molte storie, che il mio fare affabile e cortese un po’ dissipava la paura che incuteva il mio mestiere e i giovani e i vecchi discorrevano volentieri con me e raccontavano le storie dei lor paesi e le usanze e il come e il perché d’ogni cosa. Così oggi, che son vecchio e il mio braccio è stancato dal portar il bastone sul quale poggia la mia vecchiaia, e la mia mano trema nell’afferrar il bicchiere, il narrar di tali storie è la sola abilità che a me resta per guadagnar di vivere quei pochi anni che ancor Dio mi concede. In questo giorno di grande freddo, quando gennaio volge alla fine, nelle campagne e nei paesi Lombardi s’usa di far fantocci e accender fuochi, per la ragione ch’io vi narrerò.
Molti, moltissimi secoli fa, in una grotta, nel punto più fitto e oscuro dei boschi della Brianza, viveva una terribile strega. Ella era talmente alta che quando usciva dalla sua grotta e si ergeva sulle sue secche gambe vestite di calze rosse il suo viso restava invisibile, nascosto dalle nubi. Da quell’altezza Giubiana, questo il nome della terribile megera, controllava l’intero territorio e spaventava a morte chiunque osasse avvicinarsi alla foresta della quale era signora e padrona.
Nessuno sapeva come facesse, ma anche di giorno ella controllava il bosco, sebbene, come si sa, il sole uccida le streghe. Ma, dicevano alcuni, ella lanciava degli incantesimi per cui il sole non poteva toccarla.
Alcuni raccontano anche che ella avesse trovato, non si da dove, un marito e che anch’egli partecipasse alle sue malvagie azioni che costringevano i pochi contadini della pianura a una vita di terrore e miseria.
Infatti, nessuno poteva recarsi nel bosco per far legna o coltivare nei terreni vicini perché subito la Giubiana e suo marito intervenivano spaventando o colpendo chi osasse sfidarli entrando nel loro territorio.
Tuttavia, com’è naturale fra le genti, i contadini si abituarono a questa situazione, s’accontentarono di coltivar meno, impararono a conoscere luoghi in cui raccattar fascine per cucinare e scaldarsi.
Se la Giubiana e suo marito si fossero limitati a rimaner nel bosco forse sarebbero ancora lì, oggi, poiché la natura umana è quella d’abituarsi e affezionarsi pur’anco alle peggiori sofferenze così che si è restii a cambiar anche quelle situazioni che non ci piacciono ma che ormai hann raggiunto una certa stabilità.
Ma non tutti i cuori umani si somigliano e a certe idee e situazioni alcuni non possono o non vogliono abituarsi. La Giubiana poteva far tremare l’impavido cuore degli uomini, ma vi son cose che risvegliano l’astuzia delle paurose donne, specie quando queste son madri.
Ogni anno, nella notte dell’ultimo Giovedì di Gennaio la Giubiana e suo marito si mettevano in marcia.
A grandi falcate, senza mai toccar terra, con le loro magrissime gambe, di albero in albero, attraversavano in pochissimo tempo l’intera foresta e, giunti al borgo si recavano presso una delle case che ospitasse un bambino o una bambina e prima dell’alba le casette di terra e paglia eran svegliate dalle alte grida di una madre che rinveniva i resti del suo pargolo, divorato dall’orchessa e suo marito, dileguatisi nel nulla prima del sorgere del sole.
Col tempo le madri smisero di dormire in quella notte e attendevano con gli occhi sbarrati nel buio che la terribile oscurità finisse, vegliando i propri pargoli e nonostante tutto vedendoseli strappati, dilaniati in un buio profondo.
Erano ormai molti anni che la Giubiana teneva i contadini sotto il suo giogo e, avvicinandosi la fine di Gennaio tutte le donne erano ansiose e non permettevano ai loro piccini di uscire ma se li stringevano al petto, pensando che forse, quella era l’ultima settimana che li avevano fra le braccia.
Da allora ogni anno, in ricordo di quell’evento
gli uomini della città preparano due grandi
fantocci che rappresentano la Giubiana e suo
marito e li bruciano...
Il risotto era caldissimo e spandeva un profumo penetrante e appetitoso per tutto il territorio.
Anche la Giubiana sentì il profumo le venne l’acquolina in bocca e immediatamente agguantò l’enorme cucchiaio che era nel pentolone e continuò a mangiare il risotto per tutta la notte ed era così golosa del risotto che non s’accorse del sole che sorgeva alle sue spalle.
Così i primi raggi la colpirono con la loro luce e il loro calore consumando il suo corpo con violente fiamme.
Inutile narrarvi della gioia che corse di casa in casa, di madre in madre alla notizia di come fosse stata sconfitta la Giubiana.
Dopo tanti affanni qualsiasi preoccupazione sembrò agli abitanti della valle poca cosa ed essi vissero così sempre sereni e prosperarono, costruendo un borgo che, per la serenità che lo caratterizzava fu chiamato dai visitatori «Locus Serennio» e così ancora oggi si chiama la cittadina che sorge il quel luogo, Seregno.
Da allora ogni anno, in ricordo di quell’evento, gli uomini della città preparano due grandi fantocci che rappresentano la Giubiana e suo marito. La sera dell’ultimo Giovedì di Gennaio tutto il paese si riunisce attorno ai fantocci con paglia e carta pesta, mangiano il risotto con la salsiccia e bruciano i due fantocci. Se essi bruciano bene allora è segno che l’inverno non durerà molto e che l’anno sarà fortunato.
Bimbasperduta
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