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«Il corpo si serve di molti strumenti; ma del corpo e delle sue membra si serve l’Anima, e l’Anima a sua volta è uno strumento di Dio.»
(Plutarco)
(Plutarco)
L’Oracolo di Delfi |
Nell’antica Grecia il fenomeno della divinazione era indissolubilmente associato alla religione. L’arte della profezia qui raggiunse la sua maggiore espressione nei cosi detti «oracoli» tra i quali quello di Delfi fu senza dubbio il più celebre e importante.
Invero il termine greco per designare l’oracolo era «manteias» (divinazione, responso, vaticinio) che suona molto simile a «maneis» (impazzito, furioso). Complessivamente si ottiene un significato che suona: «Sono pieno di follia profetica».
Più avanti vedremo perché quest’accezione è assai appropriata.
All’origine dell’oracolo di Delfi v’è un antico mito il quale racconta che una titanide di nome Latona fu ingravidata da quel «don Giovanni» di Zeus. La gelosissima Giunone, moglie del dio, essendo venuta a conoscenza dell’accaduto incaricò il mostruoso serpente Pitone (nome che deriva dal verbo putein che significa «far imputridire» - Nota 1) di impedire che la dea portasse a compimento la gravidanza. Latona riuscì comunque a sfuggire alle grinfie del mostro rifugiandosi nell’isola di Delo dove partorì la dea lunare Artemide e il dio solare Apollo.
Tuttavia il serpente Pitone continuò imperterrito a minacciare Latona. In seguito a ciò Apollo, solo quattro giorni dopo essere nato, si fece forgiare dal dio Efesto un arco e delle frecce, quindi si recò a Delfi, luogo nel quale Pitone viveva, custodendo il tempio laddove sua madre Gea (la Terra) pronunciava degli oracoli. Apollo finalmente scovò il serpente e, dopo aver esaurito quasi tutte le frecce della sua faretra, lo uccise. Tuttavia Gea, madre di Pitone, andò a chiedere giustizia a Zeus.
Per consolare Gea il padre degli dei istituì i giochi Pitici (in onore, appunto, al serpente Pitone). Apollo fu costretto dapprima a fare il pastore per sette anni e poi a presiedere i giochi Pitici. In questo modo Apollo sostituì Gea nel ruolo di vaticinatore diventando anche il custode e patrono di Delfi.
Invece secondo Diodoro Siculo, storico del I secolo, un pastore di nome Coreta si accorse che una delle sue capre caduta in una cavità rocciosa ai piedi del monte Parnaso belava in modo anomalo tremando intensamente. Il pastore entrato nella cavità fu preso da una strana forza divina e cominciò ad avere visioni del passato e del futuro. La notizia dell’esistenza di questo curioso antro si diffuse presto e in seguito fu edificato un tempio con annessa attività oracolare.
Comunque siano andate le cose sta di fatto che il tempio di Delfi fu attivo indicativamente dal 1400 a.C. sino al 392 d.C. epoca in cui l’imperatore romano Teodosio proibì certe pratiche definite «pagane» in favore della nuova religione di stato, ossia il cristianesimo.
Ma come si svolgeva la pratica divinatoria?
Saturno vomita la pietra che mangia
al posto di Giove - Emblema XII -
Atalanta Fugiens - Michael Maier
Da lì una piccola processione accompagnava la Pizia presso il punto di raccolta interno al tempio di Apollo (il così detto adyton - Nota 2) di un’altra acqua proveniente questa volta dalla fonte Cassotide. La Pizia ne beveva un sorso... quest’acqua presentava virtù profetiche.
Dopo di che veniva introdotto un capretto sul quale era spruzzata dell’acqua gelida. Se il capretto rimaneva indifferente se ne traeva un cattivo presagio e l’oracolo era rimandato, se invece l’animale reagiva allora veniva ucciso e bruciato su un altare esterno al tempio. Il fumo costituiva un segno che la giornata era propizia all’attività oracolare.
A questo punto i consultanti (che, a quanto pare, per avere dei responsi pagavano tariffe molto salate) dovevano seguire lo stesso percorso purificatorio della Pizia; nel fra tempo la nostra sacerdotessa sostava davanti all’altare che presentava un fuoco alimentato da legno di abete e da ogni sorta d’incenso e sostanze eccitanti. Quando la Pizia cominciava a barcollare inebriata dai profumi, era portata di peso nell’adyton del tempio.
Il consultante era ammesso al tempio previo un sacrificio di un capretto o un agnello. La Pizia in uno stato d’ipnosi era separata da un tendaggio e sedeva su una sorta di sgabello denominato «tripode» (in cui tre piedi sorreggevano una sorta di scodella concava centrale dentro la quale era ubicata la nostra sacerdotessa). In quella posizione sopraelevata, teneva in una mano un ramo d’alloro (pianta sacra ad Apollo che avrebbe virtù purificatrici) e in un’altra uno dei fili di lana in cui era avvolto l’onphalos (ombelico) ossia una misteriosa pietra tondeggiante considerata il «centro del mondo» e che, secondo la mitologia, sarebbe quella stessa roccia che Rea diede da mangiare a Crono al posto di Giove e che il dio «divoratore dei suoi stessi figli» vomitò ai piedi del monte Parnaso. La simbologia nel complesso collega dunque la Pizia al nucleo interiore, puro ed eterno collocato nell’epicentro del mondo e di qualsiasi forma materiale.
Tornando quindi alla nostra profetessa questa ispirata dai tre oggetti di culto (ossia il tripode, l’alloro e l’ombelico) si trova in uno stato di «trance sciamanica».
Ecco cosa scrive Plutarco (che era sacerdote a Delfi) a proposito di questa condizione estatica:
«Apollo rivela e apre i suoi pensieri, ma li rivela mescolandosi con un corpo mortale e un’anima umana, che non riesce a mantenere la calma e a manifestare ogni cosa in modo impassibile senza mutamento. Essa piuttosto ondeggia come una nave nel mare tempestoso ed è trascinata dal suo intimo sconvolto.»
Da quanto precede, possiamo dedurre che per gli antichi greci quando l’indovina pronunciava una profezia, era il dio Apollo a parlare attraverso lei. La Pizia dunque si trovava in uno stato privo di una volontà propria come una sorta di «medium» e in una siffatta condizione essa poteva rispondere alle domande proferite dal consultante di turno. Naturalmente i responsi non sempre avevano un senso chiaro, anzi spesso le profezie erano «sibilline» con un significato molto difficile da districare.
Oltre ai tre elementi visti prima che ispirerebbero la Pizia, a nostro modesto avviso è molto interessante notare che gli autori che hanno scritto sull’oracolo parlano spesso e volentieri di un misterioso vapore proveniente dalle viscere della terra denominato «pneuma». È questo, ad esempio, il caso di Strabone il quale ci informa che:
«Si dice che l’oracolo sia una cavità verticale con un’apertura non troppo grande. Da questa sale un vapore (pneuma - ndr) che produce l’estasi, e sull’apertura c’è un alto tripode; la Pizia vi sale, respira il vapore e profetizza».
Anche Plutarco ci parla del «pneuma» («un aroma e un vapore simili ai profumi emanati dalle essenze più nobili e preziose, e che sgorgano dal Santissimo coma da una sorgente») additandolo come responsabile dei vaticini.
Di cosa si tratta in pratica?
A una prima istanza, almeno dalle testimonianze che abbiamo, parrebbe che si tratti di una sorta di gas prodotto dall’attività vulcanica del sottosuolo che, fuoriuscendo da un’apertura nella crosta terrestre, produrrebbe esperienze di «trance» simili a quelle causate da sostanze psicotrope.
Tuttavia Philipp Vandenberg nella sua opera «Oracoli» (testo da cui abbiamo tratto i frammenti di Plutarco, Strabone e altre informazioni intriganti) ci dice che:
«Finora gli archeologi hanno cercato invano questa fenditura. I geologi, dal canto loro, ritengono semplicemente impossibile che in quella formazione terrestre sia mai esistita una simile fenditura.»
Da ciò si deduce che molto probabilmente questo pneuma non ha alcuna relazione con i gas sotterranei. Più verosimilmente si trattava delle fumigazioni psicotrope che le Pizie respiravano durante le loro attività divinatorie. Oppure di un misto di queste e di un altro misterioso e potente elemento che è impossibile spiegare e che gli studiosi contemporanei interpretano come una sorta di «suggestione psicologica».
Ed è qui che parliamo della preannunciata «follia profetica». In effetti, le Pizie avevano dei comportamenti assolutamente inusuali così tanto da far pensare alla «follia». Tuttavia non siamo per niente sicuri che bastino dei principi psicotropi per produrre dei vaticini «validi».
Certamente determinate sostanze possono causare un distacco temporaneo dalle nostre percezioni sensoriali favorendo una sorta di atmosfera da «sogno» e, conseguentemente, un contatto maggiore con la propria Anima.
Quest’Anima particolare (in questo caso quella della profetessa di turno) deve poi essere «informata», cioè plasmata dall’elemento spirituale che conserva in se tutti gli eventi del passato, del presente e del futuro. Questi tre elementi sono forse rappresentati dai tre piedi del tripode aureo su cui si trova assisa la Pizia.
L’entità plasmatrice è, a nostro modo di vedere, il «pneuma» tanto ricercato il quale (seguendo la tradizione) si trova in ogni dove e in particolare in certi luoghi che per la loro conformazione «geomorfologica» e soprattutto «idrogeologica» possono dirsi «privilegiati».
Come abbiamo visto nel nostro scritto l’acqua nell’ambito dell’oracolo Delfico sembra avere un ruolo dal quale non si può prescindere. Tradizionalmente questo elemento umido è sempre stato considerato un notevole apportatore del «soffio divino» responsabile di ogni tipo di divinazione.
Tutto ciò è pura pazzia, quella stessa follia che anima il nostro sito.
È per questo motivo che la follia presso i greci era una caratteristica amata e rispettata se (e solo se) da essa si poteva trarre qualcosa di utile per il percorso di ogni consultante.
Infatti, la follia in se non è mai una cosa buona, «fatta eccezione per quelli che dicono posseduti dalla follia per opera di Apollo» (Pausania)
Apollo e Pneuma... a questo punto della storia ci sembrano due termini così simili da poterli indicare come sinonimi.
Chiuderemo questo nostro lavoro con l’ennesimo enigma legato al più celebre vaticinio di Delfi iscritto sulla soglia del Tempio:
«Ti avverto, chiunque tu sia. Oh tu che desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei.»
Come potrebbe un uomo che conosce se stesso contemporaneamente conoscere ogni cosa? Questa frase non è forse figlia dell’assurdo o di quella sana follia cui abbiamo accennato?
Così dunque il Tempio (come il corpo dell’Uomo) delimitato da confini illusori ritorna a essere uno di quei tasselli universali che compongono il Mondo intero esibendo in se stesso, in tutto il suo fulgore, quel vero tesoro che è un brandello dell’eternità.
Il Marchese di Carabà
email: m.dicaraba@libero.it
L'industrie et le savoir-faire valent mieux que des biens acquis
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